Al momento, nel carcere di Trento ci sono 377 detenuti, ben oltre i 240 posti previsti. Una situazione che ha spinto Giovanni Maria Pavarin, garante dei diritti dei detenuti, a lanciare l’allarme dopo una recente visita alla struttura. Pavarin ha definito il quadro «insostenibile». Le sue parole si inseriscono nella mobilitazione della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali, che chiede interventi urgenti per le carceri italiane, seguendo anche le indicazioni del presidente della Repubblica.
Il patto saltato tra Provincia e Stato sulla gestione del carcere
L’accordo tra Provincia e Stato prevedeva che il carcere di Trento potesse ospitare fino a 240 persone. Oggi quella soglia è ampiamente superata. Pavarin ha sottolineato come questo sforamento metta in crisi la gestione quotidiana della struttura, già fragile di suo. Il problema non è solo numerico: il sovraffollamento incide sulla sicurezza, sulla vita dei detenuti e sulle condizioni di lavoro del personale penitenziario. Più persone vuol dire più tensioni e situazioni difficili da gestire.
Il garante ha rivolto un appello chiaro a chi governa, dal livello locale a quello nazionale: serve una risposta concreta e immediata. La Conferenza nazionale dei Garanti vuole far crescere la pressione sulle istituzioni, perché la questione delle carceri non resti solo un tema da discorsi, ma diventi un impegno reale per riformare e migliorare le condizioni dei detenuti.
Leggi più dure e sovraffollamento: un circolo vizioso difficile da spezzare
Secondo Pavarin, l’aumento delle pene e l’inasprimento delle norme finiscono per alimentare il sovraffollamento. Se si allungano le condanne senza trovare modi per alleggerire la popolazione carceraria, il numero dei detenuti cresce inevitabilmente. La regola è semplice: più posti si creano, prima o poi si riempiono di nuovo. Le leggi più severe, quindi, rischiano di peggiorare la situazione invece di migliorarla.
Questo scenario impone di riflettere sulle alternative alla detenzione e sulle strategie per evitare che i reclusi tornino a delinquere. Un sistema penale che si limita a far salire il numero dei detenuti senza strumenti efficaci per ridurre la pressione dentro le carceri porta solo a un aumento continuo dell’affollamento, con pesanti conseguenze sui diritti umani e sulla gestione stessa delle strutture.
Personale carente e condizioni difficili nella casa circondariale di Trento
Tra le criticità emerse durante la visita, spicca la grave carenza di agenti penitenziari. Mancano almeno 40 unità per garantire sicurezza e assistenza adeguata. Nonostante questo, la casa circondariale registra pochi episodi gravi, come tentativi di suicidio o aggressioni, segno di una gestione che tiene, almeno per ora.
Le condizioni di vita però lasciano molto a desiderare. Problemi riguardano la qualità del cibo, le opportunità di lavoro per i detenuti e la scarsa informazione sulle misure alternative alla detenzione. La metà dei reclusi è composta da stranieri extracomunitari, una percentuale più alta rispetto alla media nazionale. Questo genera ulteriori difficoltà, soprattutto per la comunicazione, l’accesso alle informazioni legali e la conoscenza dei propri diritti, spesso poco chiare per chi proviene da fuori.
Il governo risponde, ma il piano carceri resta incerto e lontano
Il piano carceri del governo, secondo Pavarin, non dà risposte concrete. Dipende da una commissione che dovrebbe insediarsi solo tra quattro mesi, e questo rischia di trasformare un’emergenza in un problema rimandato senza tempi certi.
Senza interventi rapidi e pratici, l’affollamento e le difficoltà nelle carceri rischiano di peggiorare ancora. Strutture che non reggono il numero reale di detenuti, personale sotto organico e servizi insufficienti: una pressione che, per Pavarin, i responsabili istituzionali non possono più ignorare.
Ultimo aggiornamento il 30 Luglio 2025 da Rosanna Ricci