Tensioni e spari nel cuore di rozzano: la zona rossa resta teatro di violenze dopo la strage del 2003
La violenza a Rozzano, nel quartiere Aler, persiste nonostante le misure di sicurezza. Critiche alle strategie attuali e necessità di interventi concreti per affrontare il degrado sociale e urbano.

A Rozzano, la "zona rossa" del quartiere Aler, istituita dopo la strage del 2003 legata allo spaccio, continua a essere teatro di violenza e criminalità nonostante i controlli e le misure di sicurezza adottate, evidenziando la necessità di interventi sociali e urbani più concreti. - Unita.tv
Nel cuore di Rozzano, una delle periferie al confine con Milano, la violenza legata al controllo dello spaccio torna a far parlare di sé, confermando una situazione critica che dura da oltre vent’anni. La “zona rossa” del quartiere Aler, istituita come misura di sicurezza dopo una tragica strage nel 2003, sembra ancora oggi incapace di arginare gli episodi criminali. Dietro questo quadro di ferite mai rimarginate, spiccano fatti di cronaca nera che hanno segnato la città e richiesto interventi più stringenti e più presidii sul territorio.
La strage del 2003 e il contesto storico del quartiere aler
Nel 2003 Rozzano venne scossa da un episodio di sangue destinato a definire l’immagine e la gestione della sicurezza nel quartiere Aler. Vito Cosco, all’epoca impegnato nelle dinamiche del narcotraffico locale, uccise due suoi ex amici, Alessio Malmassari, 29 anni, e Raffaele De Finis, 23, in una sparatoria violenta vicino al cosiddetto muretto tra via Garofani e via Biancospini. Quel giorno l’orrore travolse anche innocenti: una bambina di tre anni, Sebastiana, venne ferita mentre si trovava tra le braccia della madre, e un pensionato sessantenne, Attilio Bertolotti, rimase coinvolto nel tragico episodio.
Un omicidio che ha cambiato il quartiere
L’omicidio, avvenuto in pieno giorno, nella zona rossa, ha raccontato una lotta feroce per il controllo del territorio dello spaccio. Da allora la zona è diventata simbolo di una criminalità che ha provato a consolidare il suo potere. Non a caso, la storia della zona rossa di Rozzano è inscindibile dall’evento del 2003 e dalle conseguenze difficili della convivenza tra residenti e attività illecite.
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Le risposte istituzionali nel corso degli anni
Dopo la strage e l’appello “mai più” lanciato da amministratori e istituzioni, la risposta sul campo ha registrato diversi cambiamenti. Rozzano è passata dall’aver una sola caserma dei carabinieri alla dotazione di una tenenza stabile con un maggior numero di uomini delle forze dell’ordine. Questa scelta aveva lo scopo di offrire un presidio più solido in un quartiere segnato da tensioni continue.
Negli anni successivi, soprattutto dopo l’omicidio di Manuel Mastrapasqua, accoltellato per poche cuffiette da 10 euro, le misure sono ulteriormente aumentate. Il decreto Caivano bis ha imposto un giro di vite, e la zona rossa del quartiere Aler è stata rilanciata come area monitorata e sotto stretto controllo delle autorità. Nonostante queste misure, gli effetti sul tessuto sociale e sulla sicurezza non hanno dato i risultati sperati, lasciando intravedere falle nella prevenzione e sistemi di intervento che non hanno saputo mettere un freno deciso alla criminalità.
Controlli e sicurezza a mezzo servizio
Il contrasto alla criminalità rimane una sfida aperta, dovendo bilanciare la necessità di sicurezza con la costruzione di rapporti di fiducia con la comunità.
La situazione attuale e le critiche politiche sulle strategie di sicurezza
Oggi, a distanza di anni da quegli eventi che hanno profondamente segnato Rozzano, la criminalità continua a manifestarsi con episodi di spari e spaccio. La zona rossa, pur sotto stretto controllo, non riesce a contenere la violenza né a offrire la sicurezza auspicata ai residenti. Vito Cosco, condannato a vent’anni per la strage del 2003, ha scontato la pena in 18 anni e ha goduto di permessi esterni. È libero da quattro anni mentre la città fatica a chiudere quella ferita.
Leo Missi, candidato sindaco per il Partito democratico, ha espresso una dura critica sulla reale efficacia della zona rossa, definendola insufficiente come deterrente contro la criminalità. L’idea della videosorveglianza, ora arricchita da tecnologia con intelligenza artificiale e 400 telecamere installate, è vista come un intervento limitato, incapace di prevenire realmente gli episodi violenti. Il controllo visivo non sostituisce la presenza fisica di agenti e un rapporto stabile tra forze dell’ordine e comunità.
Necessità di interventi concreti
Missi ha indicato la necessità di un impegno concreto e durevole delle istituzioni, capace di riportare legalità con interventi sulla riqualificazione urbana e sul sostegno sociale. Soltanto un lavoro costante per smantellare il degrado e offrire alternative concrete al disagio potrebbe cambiare realmente la situazione.
Riflessioni sulle sfide di rozzano nel 2025
La vicenda di Rozzano si inserisce in un contesto più ampio di difficoltà che toccano molte realtà urbane intorno a grandi città come Milano. La lotta alla criminalità organizzata e allo spaccio passa da azioni che vanno oltre il dichiarare zone rosse o aumentare la sorveglianza tecnologica. Il quartiere Aler dimostra di aver bisogno di interventi strutturati sul piano sociale e urbano.
La situazione resta tesa e la comunità aspetta risposte concrete. I cambiamenti in politica locale, dopo cinque sindaci e diverse strategie, non hanno finora modificato profondamente il clima. La sicurezza a Rozzano nel 2025 resta un tema centrale, e il dibattito pubblico continua a chiedere attenzione e interventi solidi sulle cause alla base della violenza e del degrado.