L’attentato di via d’Amelio del 19 luglio 1992 segnò una ferita profonda nella storia italiana, con la morte del giudice Paolo Borsellino e della scorta che lo proteggeva. A distanza di più di tre decenni, Antonio Vullo, unico superstite di quella tragedia, rivive con parole precise il dramma di quel giorno. La sua testimonianza restituisce dettagli intensi, riflessi di paura e confusione, in una giornata che cambiò per sempre il volto della lotta alla mafia.
I ricordi di Antonio Vullo sul momento della strage e la fuga sotto choc
Antonio Vullo rimane uno degli ultimi testimoni diretti dell’esplosione che portò via Borsellino e cinque agenti della scorta. Quel pomeriggio di luglio, si trovava a bordo di una Fiat Croma blindata, aprendo il corteo di scorta. Prima dell’attentato, la sua auto si fermò per lasciare passare gli altri veicoli, e allora si sentì travolto dalla violenza dell’esplosione. La descrive come una “nube nera” che lo avvolse insieme a un calore intenso.
Non appena il boato finì, scese immediatamente dall’auto che rischiava di esplodere. Camminò lungo via d’Amelio trovandosi davanti a un paesaggio devastato: auto ridotte a rottami, detriti ovunque e, tra queste macerie, il corpo di un collega. Nel racconto di Vullo è incluso il momento in cui quasi inciampò sul piede amputato di Claudio Traina, suo amico e collega. La situazione lo mise in uno stato di smarrimento; cercava aiuto e conforto ma attorno a lui regnava solo il caos. Senza una direzione precisa, si diresse verso via Autonomia Siciliana nella speranza di trovare rinforzi o soccorsi. Dopo qualche minuto arrivò una volante; con la pistola in mano e la mente confusa, riconobbe un collega e cedette alla stanchezza. Venne poi portato in ospedale, ancora immerso in quel groviglio di emozioni e dolori.
La cronaca della preparazione e dei controlli prima dell’attentato
La giornata era iniziata con un incarico urgente. Poco prima delle 13, Vullo ricevette l’ordine dalla questura di raggiungere gli altri membri della scorta per accompagnare Paolo Borsellino dalla casa a mare di Villagrazia di Carini fino a via d’Amelio, dove abitava la madre del magistrato. Per Vullo era la prima volta lungo quel percorso e non conosceva neppure la via in cui si sarebbe concluso il tragitto.
Al suo arrivo notò subito una condizione poco sicura: all’ingresso di via d’Amelio c’erano numerose auto parcheggiate, un elemento incompatibile con i criteri minimi di sicurezza per un servizio di scorta. Non venne effettuata alcuna bonifica preventiva sul luogo, un dettaglio che sollevò preoccupazioni sia in lui che in Claudio Traina. Anche i controlli davanti alla casa di Borsellino in via Cilea, riferì Vullo, non gli sembrarono sufficientemente rigorosi. Questi aspetti mostrarono la difficoltà di garantire una protezione totale in una fase molto tesa e delicata.
La relazione tra Vullo, Borsellino e la scorta in un clima di fiducia e amicizia
Antonio Vullo entrò a far parte della scorta di Borsellino subito dopo la strage di Capaci, quando i servizi di sicurezza vennero ricollocati e il magistrato divenne bersaglio principale. Ricevette la comunicazione del nuovo incarico il 30 maggio 1992 e iniziò il turno il giorno seguente, una domenica.
Il rapporto tra Vullo e Borsellino si sviluppò rapidamente su basi umane profonde. L’agente ricorda una grande spontaneità e la mancanza di gerarchie rigide. Borsellino si mostrava come una figura paterna, ma soprattutto come un amico. Il clima durante il servizio era spesso allegro, punteggiato da battute e scherzi. Il magistrato amava inserire espressioni in dialetto che legavano il gruppo in modo più stretto. Questa complicità fu un segno distintivo che rese il rapporto tra uomini e magistrato più intenso del semplice rapporto professionale.
La testimonianza di Antonio Vullo consente di comprendere non solo quanto accadde nella tragica giornata del 19 luglio 1992, ma anche i sentimenti, le paure e i legami umani dietro la scorta di uno dei protagonisti principali della lotta alla mafia. Quei ricordi raccontano di un pezzo di storia italiana vivido e allo stesso tempo doloroso, vissuto da chi si trovava sul campo, nel vero cuore di quegli eventi.
Ultimo aggiornamento il 19 Luglio 2025 da Luca Moretti