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La performance “Bentu Estu” denuncia l’impatto degli impianti eolici sull’area archeologica di Barumini

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La performance “Bentu Estu” contro l’impatto degli eolici su Barumini. - Unita.tv
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L’arte contemporanea ha scelto di mettere al centro della scena la battaglia contro la diffusione indiscriminata degli impianti di energia rinnovabile in Sardegna, puntando il riflettore sull’area di Su Nuraxi a Barumini, patrimonio mondiale dell’UNESCO. Qui si è svolta “Bentu Estu”, nuova performance ideata da Nicola Mette e curata da Pedro Rocha, che in un’azione poetica richiama all’attenzione i danni visivi e ambientali provocati dalle turbine eoliche. La messa in scena riflette il legame profondo tra la natura, l’identità culturale e il paesaggio locale, mettendo in discussione il concetto di progresso legato esclusivamente alla produzione di energia.

il contesto di Su Nuraxi e la sfida delle energie rinnovabili in Sardegna

L’area archeologica di Su Nuraxi, nel territorio di Barumini, rappresenta uno dei siti più importanti della Sardegna e testimonia l’antica civiltà nuragica. La sua importanza storica e culturale è riconosciuta a livello internazionale, tanto da essere iscritta nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Tuttavia, il paesaggio che circonda questo luogo sacro è oggi minacciato dall’installazione di impianti eolici che alterano profondamente l’ambiente e l’estetica del territorio.

La Sardegna ha visto crescere negli ultimi anni la diffusione degli impianti per la produzione di energie rinnovabili come risposta alla crisi energetica e agli impegni climatici. Purtroppo, questa crescita è stata spesso condotta senza un’attenzione sufficiente agli impatti sul paesaggio culturale e naturale. Le turbine eoliche, alte e imponenti, iniziano a ‘spezzare’ l’orizzonte, modificando la visione di un territorio che fino a poco tempo fa si presentava intatto e carico di storia.

Il richiamo di Nicola Mette al vento maestrale, forza naturale e elemento mitologico, eleva la questione a livello simbolico. Il vento, che un tempo rappresentava un legame tra l’uomo e la natura, diventa oggi strumento di uno sfruttamento che sembra cancellare ogni rispetto per il patrimonio archeologico. Di fronte a questa contraddizione, l’artista esprime un’accusa diretta contro «un progresso misurato solo in megawatt» e la trasformazione del paesaggio in un semplice contenitore da riempire di tecnologie.

la performance “bentu estu”: il corpo come simbolo di terra ferita

La scena della performance ha visto protagonisti un gruppo di volontari, nudi e dipinti di bianco, posizionati nell’area archeologica. I loro corpi, stesi con le braccia tese, riproducevano la forma delle pale eoliche, creando un’immagine che univa la natura, l’essere umano e la tecnologia in un unico quadro il cui significato è di denuncia profonda.

Le striature rosse dipinte sul corpo evocano ferite e amputazioni, un’immagine forte che intende rappresentare la sofferenza inflitta dal nuovo utilizzo del territorio. Questi elementi colorati funzionano anche come segnaletica, come il nastro che delimita proprietà private e impedisce l’accesso libero alla terra. Il paesaggio, così, perde la sua natura collettiva e diventa “appannaggio” di società e interessi economici, in contrasto con la tradizione di tutela e rispetto locale.

Lo spettacolo è stato pensato sia come evento artistico sia come azione civica: i corpi dei performer non sono semplici oggetti di scena ma diventano monumenti temporanei, visibili e vulnerabili. Quest’architettura del corpo mette in luce il rischio concreto che la cultura e la memoria possano essere cancellate nel nome di uno sviluppo che non riconosce i valori del luogo.

Il ruolo dell’arte pubblica nella difesa dei luoghi simbolo

Pedro Rocha, curatore della performance, ha sottolineato l’importanza di restituire spazio pubblico attraverso l’azione artistica, in particolare quando questa si svolge in aree oggetto di controversie. Lo spazio pubblico, spiega, non è preesistente ma viene creato dalla presenza collettiva e dall’azione stessa.

La performance, quindi, non si limita a occupare fisicamente il luogo, ma lo rende simbolicamente aperto al dialogo e alla resistenza. È un segnale potente lanciato contro i processi di “colonizzazione paesaggistica” mascherati da richieste di progresso e sostenibilità energetica. La riflessione proposta scuote la percezione abituale che vuole il paesaggio come una tela bianca da poter riempire indiscriminatamente.

Nel lavoro artistico di Mette, il corpo assume una funzione architettonica e monumentale, rappresentando con forza l’idea che dietro ogni struttura impattante ci siano persone, identità, storie da difendere. Il gesto creativo si confronta direttamente con la realtà di un territorio in pericolo, offrendo un modo nuovo di vedere e sentire la questione delle energie rinnovabili in un contesto culturalmente sensibile.

L’azione ha richiamato comunità, studiosi e appassionati, mettendo al centro della discussione la necessità di bilanciare sviluppo e tutela del patrimonio, senza perdere di vista le radici storiche e il valore del territorio. L’evento ha dimostrato come l’arte possa farsi portavoce di un messaggio urgente, trasformando il paesaggio in uno spazio di confronto e consapevolezza.

Ultimo aggiornamento il 6 Agosto 2025 da Elisa Romano

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Elisa Romano

Elisa Romano è una blogger italiana che si occupa di cronaca, politica, spettacolo, attualità, cultura e salute. Con uno stile chiaro e coinvolgente, racconta i fatti e le storie del momento, offrendo riflessioni e approfondimenti per un pubblico sempre più attento e informato.

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