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Roma, emergenza medici di base nelle periferie: mancano 300 professionisti e cresce il disagio

La carenza di medici di base a Roma, con un deficit di 300 professionisti, compromette l’accesso alle cure primarie nelle periferie, aumentando le disuguaglianze sanitarie e il sovraccarico ospedaliero.

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La carenza di circa 300 medici di base nelle periferie di Roma compromette l'accesso alle cure primarie, evidenziando gravi disuguaglianze sanitarie e la necessità di riforme urgenti per garantire assistenza equa e integrata sul territorio. - Unita.tv

La carenza di medici di base nelle periferie di Roma rappresenta un problema sanitario concreto e urgente. Il deficit di circa 300 medici compromette l’accesso alle cure primarie per migliaia di cittadini, specie nelle zone più svantaggiate della capitale. Questa situazione mette in evidenza le difficoltà strutturali e organizzative che impediscono una copertura uniforme del territorio e impattano direttamente sulla salute pubblica.

La crisi della medicina territoriale nelle periferie di roma

Roma, con i suoi oltre quattro milioni di abitanti, vive una crisi nella medicina territoriale particolare nelle aree periferiche. Qui, la carenza di medici di base si traduce in un vero e proprio ostacolo all’accesso alle cure di primo livello, fondamentali per prevenire e gestire patologie croniche. Oltre alla mancanza fisica dei professionisti, la situazione riflette un sistema sanitario territoriale che sta incontro a difficoltà organizzative e strutturali non risolte.

Questa crisi sanitaria non riguarda soltanto un numero, bensì la qualità dell’assistenza offerta ai cittadini più fragili. Le periferie, spesso popolate da anziani e persone con patologie croniche, si trovano in grave svantaggio rispetto ai quartieri centrali, dove la presenza di medici è molto più stabile. L’assenza di un punto di riferimento medico locale spinge molti pazienti a rinunciare a controlli regolari, aumentando il rischio di complicazioni e ospedalizzazioni.

Non a caso, l’inadeguatezza della medicina di base comporta anche un aumento degli accessi impropri al pronto soccorso. Le urgenze che potrebbero essere gestite a livello territoriale si accumulano negli ospedali, causando pressione sui reparti e disagi per i pazienti.

La distribuzione disomogenea dei medici nel lazio e roma

Nel Lazio, le zone senza medici di base sono in aumento e numerose. Oltre 390 ambiti territoriali risultano scoperti, con almeno 90 comuni che denunciano un bisogno urgente e senza risposta di medici. La città di Roma soffre soprattutto nelle sue Asl periferiche. Qui mancano all’appello: 5 medici nell’Asl Roma 1, 42 nell’Asl Roma 4, 86 nell’Asl Roma 5 e ulteriori 42 nell’Asl Roma 6. Sono infatti circa 175 posti vacanti solo nelle periferie romane, cui vanno aggiunte carenze nei comuni limitrofi.

Questo quadro mette in risalto la forte concentrazione dei medici nelle aree centrali e più agiate di Roma. Le periferie — spesso caratterizzate da fasce sociali più deboli e con più vulnerabilità sanitarie — si trovano prive di servizi medici essenziali. La distribuzione degli specialisti di base non segue la reale domanda sanitaria, penalizzando intere comunità.

Le conseguenze sono visibili: difficoltà di accesso continuo e puntuale alle cure, ritardi nelle diagnosi e nell’inizio dei trattamenti, maggiore stress sui servizi ospedalieri. La mappa della sanità territoriale rimane squilibrata, con un forte divario tra centro e periferia.

Ragioni della mancanza di medici nel territorio romano

Diversi fattori agiscono sul problema strutturale della carenza di medici di base a Roma e nel Lazio. Innanzitutto, molti medici si stanno pensionando senza un ricambio adeguato. La formazione dei nuovi medici di famiglia è rallentata da vincoli burocratici e dall’insufficienza di borse di studio per le specializzazioni specifiche.

Il lavoro nella periferia appare meno attrattivo per i giovani professionisti. Carichi elevati, poca organizzazione e mancanza di personale di supporto sono tutte cause di un ambiente di lavoro sfavorevole. Spesso le strutture sanitarie territoriali non sono adeguatamente equipaggiate o organizzate, e questo scoraggia l’insediamento in queste aree.

La presenza limitata di infermieri di famiglia e comunità riduce la capacità di gestione condivisa dei pazienti, appesantendo ulteriormente il lavoro del medico. Così, molti preferiscono esercitare nei quartieri centrali o in regioni dove le condizioni sono migliori.

Il risultato è un territorio che resta scoperto, mentre le persone più bisognose faticano a trovare un punto di riferimento sanitario vicino a casa.

Impatti sulla salute pubblica e accesso alle cure

Questa mancanza di medici riguarda direttamente il diritto alla salute delle persone che vivono nelle periferie di Roma. Senza un medico di base dedicato, molti cittadini scelgono di rimandare o rinunciare alle visite, agli esami e ai controlli necessari. Questo scenario aumenta il rischio di peggioramento di malattie croniche e riduce l’opportunità di prevenzione.

L’assenza di un medico vicino obbliga poi molte persone a rivolgersi ai pronto soccorso per problemi che potrebbero essere affrontati agevolmente a livello territoriale. Questo crea un sovraccarico del sistema ospedaliero e allunga i tempi di attesa.

Il problema ha anche un risvolto sociale rilevante. Chi abita in periferia e appartiene alle fasce più fragili subisce maggiormente queste carenze, allargando il divario tra cittadini per condizioni e aspettativa di vita. Il Piano nazionale della prevenzione 2020-2025 evidenzia l’urgenza di ridurre queste disuguaglianze di accesso, garantendo cure efficaci in tutti i territori.

Tentativi e proposte di intervento per invertire la tendenza

Per far fronte alla crisi sono state avanzate diverse proposte. Tra queste, il consigliere regionale Mattia del Partito Democratico suggerisce di adottare nel Lazio il modello Toscano, che prevede associazioni tra medici di base, maggiori borse di studio e presenza di infermieri di famiglia. Questo modello ha aumentato la copertura territoriale e migliorato la qualità delle cure primarie in Toscana.

Associazioni di medici e sindacati chiedono investimenti destinati esplicitamente alla medicina di base. Ricordano come, nel tempo, l’abbandono del territorio abbia contribuito al calo dell’aspettativa di vita in alcune zone.

Serve una nuova programmazione, con risorse dedicate e attenzione ai servizi integrati di assistenza sanitaria e sociale. Solo così si potrà mettere in piedi una rete più stabile e vicina alle esigenze della popolazione.

Tensioni politiche e ritardi nell’attuazione delle riforme

Al centro del dibattito pubblico c’è anche una serie di tensioni politiche sulla gestione della carenza. La regione Lazio è stata criticata da alcune opposizioni per la lentezza nell’attuazione delle riforme e per la mancanza di una strategia netta.

Da un lato si imputano scelte che avrebbero privilegiato gli ospedali e le strutture di secondo livello, lasciando da parte la medicina di base. Dall’altro la regione difende la difficoltà di reperire nuovi medici a livello nazionale e chiede che il governo centrale aumenti il numero di borse di studio e migliori i percorsi formativi.

A peggiorare la situazione è intervenuta la pandemia da Covid-19, che ha sottratto risorse e personale alla medicina territoriale aumentando la domanda assistenziale e lasciando le periferie ancora più scoperte.

La medicina territoriale come pilastro per il futuro della sanità romana

Tutto questo mette in evidenza la necessità di ripensare la medicina territoriale a Roma. Il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 indica un modello che coinvolga più figure professionali: infermieri di famiglia, assistenti sociali e altre presenze che possano affrontare i bisogni sociali e sanitari in modo integrato.

Solo costruendo una rete di servizi ben organizzata e diffusa sul territorio si potrà assicurare davvero il diritto alla salute per tutti, ridurre divari e migliorare la qualità di vita, soprattutto nelle periferie più fragili della capitale. Le sfide restano aperte e urgenti.