Ricostruzione dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti a Villa San Giovanni: nuovi sviluppi

A Villa San Giovanni, si è svolta una ricostruzione dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, assassinato nel 1991. L’auto della vittima è stata riportata sulla scena per nuove indagini.
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Ricostruzione dell'omicidio del giudice Antonino Scopelliti a Villa San Giovanni: nuovi sviluppi - unita.tv

Oggi, nella frazione Ferrito di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria, si è svolta una ricostruzione dell’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, avvenuto il 9 agosto 1991. Questo evento segna un passo importante nelle indagini, che hanno visto il coinvolgimento del Servizio Polizia Scientifica per effettuare rilievi sulla scena del crimine. L’auto del giudice, una BMW 318i, è stata riportata sul luogo del delitto per la prima volta, un elemento che potrebbe fornire nuove informazioni su un caso che ha segnato profondamente la storia della giustizia italiana.

L’omicidio del giudice Scopelliti: un crimine efferato

Il 9 agosto 1991, il giudice Antonino Scopelliti, all’epoca sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, fu assassinato mentre si trovava alla guida della sua auto. Era tornato nel suo paese d’origine, Piale di Campo Calabro, per trascorrere le vacanze estive. L’omicidio avvenne alle 17.21, quando due uomini su una moto lo colpirono con fucili calibro 12 caricati a pallettoni. Scopelliti morì sul colpo, e la sua auto finì in un terrapieno, inizialmente facendo pensare a un incidente stradale.

Il giudice, noto per il suo impegno nella lotta contro la mafia, stava preparando il rigetto dei ricorsi presentati dai difensori di alcuni dei più pericolosi esponenti mafiosi condannati nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra. Secondo le testimonianze di alcuni pentiti, l’omicidio sarebbe stato orchestrato dalla cupola di Cosa Nostra siciliana, che avrebbe chiesto alla ‘ndrangheta calabrese di eliminare Scopelliti in cambio di un intervento per fermare la guerra di mafia in corso a Reggio Calabria.

I primi arresti e i processi

Nel 1993, le indagini portarono all’arresto di diversi individui, tra cui i calabresi Antonino, Antonio e Giuseppe Garonfolo, legati alla consorteria di Campo Calabro e al noto killer Gino Molinetti. Due processi furono celebrati presso il Tribunale di Reggio Calabria: il primo contro Salvatore Riina e sette boss di Cosa Nostra, e il secondo contro Bernardo Provenzano e altri sei capi mafiosi. Nonostante le condanne in primo grado nel 1996 e nel 1998, tutti gli imputati furono successivamente assolti in Corte d’Appello a causa di incongruenze nelle prove.

Dopo un lungo periodo di inattività giudiziaria, nel 2012, durante un’udienza del processo ‘Meta’, il pentito Antonino Fiume rivelò che l’omicidio era stato commissionato da Cosa Nostra, ma non fornì i nomi dei killer. Queste dichiarazioni riaccesero l’interesse per il caso, ma le indagini rimasero in stallo per anni.

La svolta del 2018 e le nuove indagini

Un importante sviluppo si è verificato nel 2018, quando il collaboratore di giustizia Maurizio Avola si autoaccusò dell’omicidio, affermando di far parte del commando che sparò a Scopelliti. Avola indicò il luogo dove era sepolto l’arma del delitto, un fucile calibro 12 di fabbricazione spagnola, rinvenuto nel giardino di una villetta a Belpasso, in provincia di Catania. Queste rivelazioni hanno portato il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, a riaprire l’inchiesta nel 2019, iscrivendo 17 persone nel registro degli indagati, tra cui l’ex boss Matteo Messina Denaro.

La ricostruzione odierna rappresenta un ulteriore passo verso la verità su un omicidio che ha segnato la lotta contro la mafia in Italia. Con l’ausilio della tecnologia moderna e delle testimonianze di chi ha deciso di collaborare con la giustizia, si spera di fare luce su un caso che ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva del paese.