Reggio Calabria: la testimonianza di una madre dopo la condanna dei violentatori della figlia

Reggio Calabria, 2025: Clelia, vittima di abusi da parte di un gruppo legato ai clan locali, vive in un clima di terrore. Sei aggressori condannati, ma la famiglia continua a subire minacce e isolamento.
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Reggio Calabria: la testimonianza di una madre dopo la condanna dei violentatori della figlia - unita.tv

La storia di Clelia, una giovane vittima di abusi, ha scosso la comunità di Reggio Calabria. Dopo due anni di violenze e minacce da parte di un gruppo di giovani legati ai clan locali, sei dei suoi aggressori sono stati condannati a pene che variano dai cinque ai tredici anni. Tuttavia, la madre di Clelia racconta una realtà ben più complessa: la vita quotidiana è segnata da intimidazioni e paura, mentre la famiglia si sente abbandonata dalle istituzioni.

La vita sotto minaccia

Dopo la denuncia di Clelia, la situazione per la famiglia è diventata insostenibile. La madre racconta che, a causa delle minacce ricevute, la figlia è stata costretta a lasciare il paese. La famiglia vive in un clima di terrore, con atti di vandalismo che si ripetono: «Negli ultimi mesi hanno tagliato cinque volte le gomme della mia auto. Ci sentiamo in pericolo, nessuno ci aiuta», afferma la madre, evidenziando la mancanza di supporto da parte delle autorità.

Il paese, con una popolazione di circa 2.500 abitanti, è caratterizzato da un forte legame tra le famiglie, inclusi i parenti dei condannati. Questo rende la situazione ancora più difficile, poiché ogni giorno la famiglia di Clelia deve affrontare insulti e minacce. «Ogni mattina è un calvario. Appena mettiamo piede fuori casa, ci aggrediscono verbalmente. Qualche mese fa, uno di loro ha persino minacciato di accoltellarmi», racconta la madre, descrivendo un ambiente ostile e pericoloso.

L’assenza delle istituzioni

La richiesta di aiuto da parte della famiglia è stata ignorata. Hanno contattato il prefetto di Reggio Calabria per chiedere un trasferimento in un luogo più sicuro, ma non hanno ricevuto alcuna risposta. «Abbiamo scritto al prefetto chiedendogli di trovarci un appartamento lontano da qui, per sfuggire a questi continui attacchi. Non abbiamo avuto alcun riscontro», spiega la madre, evidenziando la frustrazione e il senso di abbandono.

La mancanza di sostegno da parte delle istituzioni è aggravata dalla situazione sociale del paese. La madre di Clelia sottolinea che, nonostante alcuni amici abbiano mostrato solidarietà in privato, nessuno ha avuto il coraggio di esporsi pubblicamente per paura delle ritorsioni. «Viviamo in un ambiente culturalmente disagiato e intriso di criminalità. La gente ha paura di parlare», afferma.

La reazione della comunità

La reazione della comunità locale è stata complessa e contraddittoria. Il sindaco, imparentato con uno dei condannati, ha risposto in modo evasivo alle richieste di aiuto della madre. «Quando una parente di uno degli stupratori mi ha minacciato, ho contattato il sindaco. Mi ha detto che non prende le ragioni né mie né della sua famiglia», racconta la madre, sottolineando l’assenza di supporto da parte delle autorità locali.

Anche il parroco del paese non ha mostrato alcun segno di solidarietà. «Non ha mai detto una parola. Per questo motivo non metto più piede in una chiesa. Ci hanno abbandonato tutti», afferma la madre, esprimendo il suo profondo senso di isolamento e tradimento da parte delle figure che dovrebbero offrire supporto.

La vita di Clelia e il futuro

Clelia, ora costretta a vivere lontano dalla sua famiglia, ha visto stravolgere la sua adolescenza. La madre racconta: «Da due anni è come se non avessi più una figlia. La vedo solo un’ora al giorno. Mi sento impazzire. Mi sto perdendo gli anni più belli della sua vita». La giovane ha deciso di lasciare la Calabria non appena terminerà la scuola, desiderando allontanarsi da un ambiente che le ha inflitto così tanto dolore.

La madre esprime la sua preoccupazione per il benessere del figlio preadolescente, che ha vissuto la situazione con grande angoscia. «Nei primi mesi era terrorizzato. La gente lo incontrava per strada e sputava a terra in segno di disprezzo. Tornava a casa piangendo», racconta, evidenziando l’impatto emotivo che questa vicenda ha avuto su tutta la famiglia.

La ricerca di giustizia

Nonostante il dolore e la sofferenza, la madre di Clelia desidera giustizia. Dopo la condanna dei suoi aggressori, ha dichiarato: «Devono marcire in galera». La sua determinazione è chiara, ma la strada verso la guarigione e la sicurezza per la sua famiglia è ancora lunga e difficile. La mancanza di supporto e la continua paura di ritorsioni rendono la situazione insostenibile, mentre la comunità sembra divisa e spaventata.

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