
Il processo sulla Torre Milano, edificio di 24 piani in via Stresa, coinvolge costruttori, architetti ed ex funzionari comunali accusati di abusi edilizi e irregolarità. Il sindaco Giuseppe Sala sarà ascoltato come testimone, mentre un comitato di cittadini rappresenta la parte offesa. Il caso evidenzia tensioni tra sviluppo urbano e tutela della comunità. - Unita.tv
Il processo legato alla torre milano, edificio di 24 piani completato nel 2023 in via Stresa, si avvicina a tappe cruciali con l’audizione prevista del sindaco di milano, Giuseppe Sala. L’indagine ruota intorno a presunti abusi edilizi e irregolarità amministrative. Tra gli imputati figurano costruttori, architetti e ex funzionari comunali. Il caso rappresenta uno dei primi nodi giudiziari sull’urbanistica cittadina e potrebbe segnare un precedente importante nel controllo delle opere pubbliche.
La chiamata a testimoniare di giuseppe sala e le reazioni
Il 5 giugno 2025, durante la seconda udienza del processo dedicato alla torre milano, il giudice Paola Braggion ha stabilito di ascoltare il sindaco Giuseppe Sala come testimone. Sala ha accolto con disponibilità questa decisione, sottolineando più volte il suo interesse a profonde riflessioni sul tema urbanistico, viste le implicazioni di questioni edilizie che coinvolgono la città. Il richiamo del sindaco al dibattito giudiziario non è solo formale ma conferma la rilevanza politica e amministrativa del caso.
La presenza del sindaco introduce nel procedimento un elemento di peso istituzionale. Sala ha evidenziato quanto si sia confrontato con progetti simili e ha ribadito di voler chiarire aspetti tecnici e procedurali legati alla costruzione della torre. Il suo intervento potrà fornire maggior chiarezza sulle scelte urbanistiche adottate dall’amministrazione comunale in relazione all’edificio di via Stresa.
Gli imputati e le accuse a carico del gruppo coinvolto
L’inchiesta, nata su presunte irregolarità nella realizzazione della torre milano, coinvolge otto imputati tra costruttori, tecnici e funzionari comunali. I fratelli Stefano e Carlo Rusconi, titolari della società Opm, sono al centro del procedimento. Come responsabili civili, sono accusati di abuso edilizio, lottizzazione abusiva e falso. Tra i professionisti coinvolti spicca Gianni Maria Ermanno Beretta, progettista e direttore dei lavori dello studio omonimo.
Nel gruppo degli imputati figurano anche ex dirigenti di palazzo marino, tra cui Giovanni Oggioni, già membro della commissione paesaggio e attualmente ai domiciliari per un altro filone di indagini per corruzione. Franco Zinna, ex responsabile della direzione urbanistica, e tre funzionari dello sportello unico edilizia sono anch’essi chiamati a rispondere delle contestazioni mosse dalla procura.
La difesa degli imputati si basa sulla presunta buona fede, sostenendo che gli atti amministrativi e le autorizzazioni ricevute erano conformi alle normative vigenti. Tuttavia la recente bocciatura della richiesta di proscioglimento da parte della corte penale, che ha escluso la buona fede degli operatori, mette in difficoltà la strategia della difesa.
Le accuse della procura e le motivazioni del procedimento
I pubblici ministeri Marina Petruzzella, Paolo Filippini e Mauro Clerici hanno qualificato l’intervento edilizio come una “ristrutturazione” nella pratica una demolizione totale seguita da una ricostruzione integrale, però presentata come ristrutturazione per aggirare le regole sulle volumetrie e l’obbligo di un piano attuativo specifico. Questa distinzione riveste un ruolo fondamentale nella valutazione giudiziaria.
La determina dirigenziale emanata nel 2018 dall’amministrazione comunale viene considerata dagli inquirenti insufficiente. Non avrebbe tenuto conto dell’effettiva natura dell’edificio, configurando così un vantaggio economico ingiusto per i costruttori. Questo episodio riflette un possibile errore o volontà di non rispettare le normative edilizie e urbanistiche.
I dettagli sulle contestazioni e le modifiche legislative
Le contestazioni vertono anche sul falso, ma la parte relativa è andata in prescrizione. L’accusa di abuso d’ufficio è stata eliminata in seguito alla riforma legislativa della legge Nordio. La scelta degli inquirenti di coinvolgere anche ex alti responsabili comunali punta a verificare eventuali complicità o omissioni nel rilascio delle autorizzazioni.
Il ruolo del comitato dei cittadini e l’esclusione del comune come parte civile
Nonostante i disagi causati dal progetto edilizio, il Comune di Milano non si è costituito parte civile nel processo. Invece, a rappresentare la parte offesa è una cittadina attiva nel comitato che si oppose all’edificazione della torre. Questa associazione denunciò fin da subito i problemi derivanti dall’opera, tra cui una significativa riduzione della luce naturale per le abitazioni vicine, stimata in circa due ore meno al giorno.
Il comitato ha rivestito una funzione centrale nella denuncia e nel far emergere criticità urbanistiche. Le loro segnalazioni hanno portato l’attenzione pubblica su aspetti concreti quali il rispetto dei parametri ambientali e la qualità della vita nei quartieri interessati. La loro partecipazione sostiene l’importanza della vigilanza civica nelle trasformazioni urbane.
Questa presa di posizione da parte di un gruppo di residenti sottolinea la tensione tra sviluppo edilizio e tutela della comunità. Il dissenso popolare rappresenta una voce critica in un contesto dove l’interesse privato può scontrarsi con la vivibilità degli spazi urbani.
Casi simili e l’ex cantiere di via fauchè monitorato dalla giustizia
Il processo torre milano si inserisce in un filone più ampio che ha visto recentemente emergere almeno altre tre situazioni a milano davanti ai giudici per motivi analoghi. Tra queste spicca il caso del palazzo di via Fauchè, soprannominato “palazzo dentro il cortile”, per il quale la decima sezione penale ha rigettato una richiesta di proscioglimento presentata dalla difesa.
Il cantiere di via Fauchè ha acceso un altro confronto sulla corretta applicazione delle norme di urbanistica. L’opera di tre piani, autorizzata con una segnalazione certificata di inizio attività , fu etichettata come ristrutturazione edilizia. Ma il fatto che la nuova costruzione fosse del tutto scollegata dal preesistente laboratorio ha reso difficile sostenere questa classificazione.
Ciò ha alimentato dubbi sulla legittimità dell’intervento, che avrebbe dovuto rispettare il piano regolatore vigente, in particolare i limiti di altezza previsti nei cortili. Il confronto fra le diverse vicende giudiziarie conferma come la città si trovi ad affrontare sfide complesse nel gestire le trasformazioni edilizie e l’applicazione delle normative urbanistiche.