Milano, da detenuto modello a ricercato per aggressione a un collega all’hotel Berna

Un uomo di nome Emanuele De Maria, ex receptionist a Milano, è fuggito dopo aver accoltellato un collega in un hotel, sollevando interrogativi sul suo percorso di reinserimento sociale.
Emanuele De Maria, detenuto autorizzato a lavorare all’esterno, ha aggredito un collega in un hotel di Milano ed è ora latitante, gettando dubbi sul suo percorso di reinserimento sociale. - Unita.tv

L’episodio che ha scosso Milano riguarda un uomo che fino a pochi mesi fa appariva calmo e professionale davanti alle telecamere, ma ora è diventato protagonista di un’aggressione violenta all’interno di un hotel. Emanuele De Maria, 35 anni, napoletano e detenuto nel carcere di Bollate, era conosciuto per il suo lavoro come receptionist e la sua volontà di reinserirsi nella società. La sua fuga dopo aver accoltellato un collega nell’hotel Berna apre nuovi interrogativi su cosa sia successo davvero dietro quella facciata.

Il percorso di reinserimento di emanuele de maria al lavoro esterno

Il giovane napoletano sconta una pena di 15 anni per l’omicidio di una prostituta avvenuto nel gennaio 2016. Da quasi due anni però viene autorizzato a lavorare all’esterno, impiegato come receptionist in un albergo vicino alla stazione centrale di Milano. Questa possibilità, prevista per favorirne la reintegrazione, lo portava a indossare il completo giacca e cravatta e ad accogliere i clienti in inglese.

De Maria aveva mostrato in più occasioni di sapersi adeguare al contesto lavorativo, soprattutto durante un’intervista al programma Mediaset “Confessione Reporter”, dove descriveva la sua esperienza professionale con toni positivi. Parlava di un rapporto sereno con i colleghi e di una passione reale per quel lavoro, così da dare un senso diverso alle sue giornate carcerarie.

La funzione del lavoro per il reinserimento sociale rappresentava per lui un’ancora, soprattutto dopo un passato difficile dietro le sbarre, con esperienze in carcere molto diverse. Il regime a Napoli Secondigliano, raccontava, era duro, con celle sovraffollate e poca attenzione per la dignità umana. Bollate invece rappresentava un luogo dove questa dignità poteva essere recuperata, grazie anche a percorsi che aiutano a mantenere l’autostima.

L’intervista televisiva: un’immagine di normalità violata dai fatti recenti

Nel servizio realizzato all’interno dell’hotel Berna, De Maria era ripreso mentre svolgeva il suo lavoro in reception. Salutava i clienti in un inglese fluido e sottolineava l’importanza di entrare in contatto con persone di culture e religioni diverse, definendo l’esperienza liberatoria per lui.

In quell’occasione descriveva il lavoro come una passione, capace di dare un senso concreto alla sua rutina. Anche il clima in hotel, secondo lui, era positivo e caratterizzato da un buon rapporto con i colleghi. Parole che contrastano con le violenze che, qualche mese dopo, sono esplose proprio nello stesso ambiente.

L’aggressione che ha portato alla fuga di De Maria coinvolge un collega egiziano di cinquant’anni. Il movente sarebbe da ricercare in una lite, anche se si sta ancora cercando di capire se possa esserci un collegamento tra questo episodio e la scomparsa, poco prima, di una dipendente dello stesso hotel, una donna srilankese.

Il quadro che emerge da quelle dichiarazioni, oggi, assume un aspetto inquietante. Da un’immagine di reinserimento e serenità si è passati a un episodio violento che ha turbato la vita di alcune persone e acceso le preoccupazioni di chi lavora o vive in zona stazione centrale.

Le condizioni carcerarie e la percezione di dignità: un percorso segnato da difficoltà

L’esperienza che De Maria ha raccontato relativamente ai suoi anni in carcere lascia vedere un divario netto tra i vari istituti in cui si è trovato. Nel carcere di Napoli Secondigliano, la detenzione è sotto il segno del sovraffollamento e di un trattamento duro, che fa sentire i detenuti abbandonati a se stessi.

Bollate invece emerge come una struttura che consente, almeno nel racconto di De Maria, un recupero della dignità personale. Viene descritta come una realtà dove si può accedere a percorsi di reinserimento e ricostruzione della propria autostima, fattori decisivi per chi si trova dietro le sbarre a lungo termine.

Il giovane trentacinquenne diceva di aver ancora sei anni e mezzo di pena da scontare, ma di sentirsi sostenuto da questo tipo di ambiente carcerario. La speranza appariva quella di un futuro in cui poter tornare a vivere fuori dal carcere in maniera costruttiva.

Nonostante queste dichiarazioni, ieri mattina De Maria ha usato un coltello per ferire un collega. Il gesto ha infranto quell’immagine di recupero e sembra indicare come la sua situazione psicologica e personale sia molto più complicata del previsto.

Ora è latitante, braccato da polizia e carabinieri in tutta Milano. La sua fuga restituisce una scena di inquietudine, dietro a un volto ammanierato che fino a pochi mesi fa appariva calmo, addirittura rassicurante. La verità su quello che è successo ieri mattina, in via Napo Torriani, va ancora ricostruita.