In provincia di Milano si è chiuso un processo per violenze sessuali nei confronti di nove giovani donne, vittime di abusi compiuti da un medico all’interno di ambulatori pubblici dedicati alla continuità assistenziale. La vicenda ha scosso la comunità locale e sottolinea la necessità di un’attenzione costante ai diritti dei pazienti e alla sicurezza nelle strutture sanitarie. Ecco i dettagli della sentenza, le modalità degli abusi e le reazioni legali.
Il caso: abusi sessuali durante visite mediche nelle strutture di continuità assistenziale
Tutto è emerso a seguito di denunce raccolte da alcune giovani donne che si erano rivolte agli ambulatori per visite mediche collegate a certificazioni per motivi di salute o per sintomi quasi comuni come malesseri, pressione alta o dolori addominali. Secondo le testimonianze, le visite si sono trasformate in esperienze traumatiche, in quanto il medico avrebbe imposto atti sessuali giustificandoli come parte necessaria dell’esame clinico. Le pazienti hanno descritto momenti di shock, smarrimento e paura durante gli incontri, denunciando molestie gravi e ripetute.
Ambulatori interessati
Le strutture interessate sono ubicate in diverse zone della città e dell’area metropolitana: San Giuliano Milanese, San Donato Milanese, piazzale Bande Nere e via Monte Palombino, nella zona di Santa Giulia. In questi ambulatori il medico 42enne si è recato per effettuare visite nell’arco di diversi mesi, compiendo le violenze senza creare alcuna possibilità di contrasto fino all’intervento delle vittime.
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Il profilo del medico e il giudizio della corte
Eric Knack Azangue, camerrunense e laureato all’università dell’insubria, ha ricevuto dal gip Luigi Iannelli una condanna severa a 10 anni di carcere per violenze sessuali aggravate. La decisione è stata resa nel processo abbreviato richiesto dalla procura, con la pm Alessia Menegazzo che ha guidato l’inchiesta e presentato le accuse. Il giudice ha disposto anche l’interdizione permanente dai pubblici uffici per il medico, nonché la sospensione dell’attività professionale per due anni.
La sentenza conferma l’applicazione della legge con rigore in casi di violenze dentro ambienti sanitar, dove il rapporto di fiducia dovrebbe essere massimo. La gravità degli abusi, ripetuti con identico schema su più vittime, è stata al centro del giudizio che ha riconosciuto il medico come responsabile di un vero e proprio “violentatore seriale”, privo di qualsiasi freno morale o professionale.
Il prezzo pagato dalle vittime: tra traumi e risarcimenti
Le donne coinvolte, tutte giovani, si sono costituite parti civili insieme all’Ats milanese. Il tribunale ha disposto pagamenti provvisionali che vanno da 20mila a 30mila euro per ciascuna vittima, a titolo di acconto sul risarcimento complessivo per i danni morali e psicologici subiti. Le testimonianze raccolte in aula hanno descritto reazioni forti: dallo stato di pietrificazione immediata alle conseguenze successive in termini di disturbi psicologici, depressione, insonnia e dipendenza da farmaci tranquillanti.
Una vittima ha ricordato di essere rimasta “quasi pietrificata” e incapace di reagire. Altre hanno raccontato di aver dovuto affrontare percorsi di cura psicologica per superare lo shock. I traumi fisici e morali perdurano nel tempo, mostrando l’entità del danno provocato da chi avrebbe dovuto curare e tutelare la salute delle persone.
Le strategie processuali e il ruolo degli avvocati
Il trattamento riservato al processo ha visto i legali delle vittime attivi nel seguire da vicino ogni fase, a partire dalle segnalazioni iniziali all’ATS. L’avvocato Giovanni Francesco Lombardo ha evidenziato come le gravità delle comportamenti emersi siano chiare e omogenee tra i casi, insistendo sulla mancanza di pentimento da parte del medico e le sue continue strategie difensive, tra cui l’accusa rivolta alle pazienti stesse di provocare gli eventi.
Dall’altra parte, la difesa, guidata dagli avvocati Giancarlo Mariniello e Antimo Giaccio, aveva cercato di dimostrare la legittimità dell’operato del medico presentando una consulenza tecnica, tuttavia senza modificare la percezione delle prove raccolte. L’avvocato Andrea Prudenzano, che ha seguito una delle vittime, ha sottolineato come il medico si sarebbe servito di metodi subdoli e rapidi per aggirare la resistenza delle donne.
Un precedente processo e le dichiarazioni delle vittime
Il medico coinvolto non era nuovo a controversie di questo tipo. Due anni fa ha affrontato un’altra causa per fatti simili, conclusa con l’assoluzione in abbreviato. Quel primo episodio non ha impedito il ripetersi delle violenze, che seguivano un copione simile in ogni occasione. Le testimonianze delle giovani pazienti hanno inquadrato un modus operandi ben definito, fatto di approcci improvvisi e violenti durante visite che avrebbero dovuto assicurare solo assistenza.
Le reazioni delle donne, comprese nel fascicolo processuale, hanno messo in luce lo stato di choc e le conseguenze negative durature che queste esperienze hanno lasciato nella loro vita quotidiana. Il loro coraggio nel denunciare ha aperto la strada all’intervento della giustizia.