Martina Oppelli, 49 anni di Trieste e affetta da venti anni da sclerosi multipla che l’ha resa tetraplegica, ha deciso di presentare un nuovo ricorso contro il rifiuto dell’azienda sanitaria locale ad autorizzare il suicidio assistito. La vicenda si concentra sul diniego arrivato dall’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina che ha respinto la sua richiesta per la terza volta. L’associazione Luca Coscioni segue da vicino questa battaglia legale e umana.
La situazione clinica di martina oppelli e le condizioni mediche attuali
Martina vive con una forma grave di sclerosi multipla da oltre due decenni. La malattia ha compromesso gravemente le sue capacità motorie fino a portarla alla tetraplegia totale. Questa condizione rende impossibile ogni movimento volontario degli arti superiori ed inferiori, limitando anche funzioni vitali come la respirazione autonoma.
Nonostante l’impatto devastante della patologia sulla qualità della vita, Martina non è sottoposta a trattamenti di sostegno vitale invasivi come ventilazione meccanica o alimentazione artificiale forzata. È proprio questo aspetto che l’Asugi indica come motivo principale per negarle l’accesso al suicidio medicalmente assistito secondo i criteri stabiliti dalla legge vigente in Italia.
L’opposizione dell’azienda sanitaria si basa dunque sull’assenza di cure salvavita in corso: senza tali trattamenti Martina non rientrerebbe nei parametri richiesti dalla normativa per poter accedere alla procedura legale del suicidio assistito.
I motivi del diniego dell’asugi e le implicazioni legali
Il terzo rifiuto espresso dall’Azienda sanitaria universitaria Giuliano Isontina arriva dopo una serie di verifiche sulle condizioni cliniche della donna. L’Asugi sostiene che senza un trattamento vitale in atto Martina non possa essere ammessa al percorso previsto dalla legge 219/2017 sul fine vita.
Questa posizione si fonda su interpretazioni restrittive delle norme italiane relative all’eutanasia e al suicidio medicalmente assistito: infatti la legge consente tale pratica solo se il paziente è sottoposto a terapie salvavita invasive o se versa in condizioni irreversibili con sofferenze intollerabili.
Il caso solleva questioni delicate riguardo ai diritti dei malati cronici gravi privi però dei supporti vitali indicati dalla normativa attuale. Il contrasto tra esigenze umane ed interpretazioni giuridiche spinge molte persone verso scelte estreme o verso viaggi all’estero dove queste pratiche sono regolamentate diversamente.
Le reazioni dell’associazione luca coscioni e le parole di martina oppelli
L’associazione Luca Coscioni ha definito “disumano” il trattamento riservato a Martina dall’Azienda sanitaria isontina, parlando apertamente di una forma di tortura inflitta alla donna costretta a sopportare sofferenze insopportabili senza possibilità d’aiuto legale nel proprio paese.
Filomena Gallo, portavoce dell’associazione, denuncia un sistema sanitario incapace o riluttante ad applicare pienamente i diritti sanciti dalle normative sul fine vita italiano. Le parole pronunciate da Martina Oppelli esprimono chiaramente lo stato d’animo della donna: “Basta soffrire”, dice; “valuto seriamente l’opzione Svizzera”.
La prospettiva svizzera e le implicazioni per il diritto al fine vita
La Svizzera rappresenta infatti uno dei pochi paesi europei dove il suicidio assistito è permesso legalmente anche fuori dai casi più restrittivi previsti dall’Italia. Questa prospettiva evidenzia quanto spesso chi si trova in situazioni simili debba rivolgersi all’estero per ottenere ciò che nel proprio paese viene negato dalle istituzioni sanitarie o dal quadro normativo vigente.
La vicenda continua quindi ad attirare attenzione pubblica perché mette al centro temi crucialissimi quali dignità umana, diritto alla scelta sul fine vita e limiti delle legislazioni nazionali rispetto alle necessità reali dei pazienti più fragili.
Ultimo aggiornamento il 1 Luglio 2025 da Andrea Ricci