In un tratto difficile della Cisgiordania, tra le colline a sud di Hebron si trova Masafer Yatta, dove diverse comunità palestinesi continuano a vivere nonostante la pressione crescente dovuta a sgomberi, demolizioni e violenze. Qui, la convivenza si è trasformata in una battaglia quotidiana, fatta di resistenza non armata, di ricostruzioni e di solidarietà con attivisti di varie nazionalità. Il racconto di Paolo, giovane volontario italiano appena rientrato da una missione nei Territori palestinesi, illumina un dramma poco presente nei grandi media.
Vita quotidiana sotto minaccia: la realtà dei villaggi di Masafer yatta
I residenti di Masafer Yatta abitano in piccoli villaggi rurali in quello che viene definito “area C” della Cisgiordania, sotto stretto controllo israeliano con restrizioni continue. Le famiglie sono impegnate soprattutto nell’agricoltura e nella pastorizia, ma ogni giorno devono affrontare demolizioni di case, divieti di costruzione e attacchi da parte di coloni armati, spesso protetti o tollerati dalle forze di sicurezza. Questi episodi si sommano a incursioni notturne e intimidazioni che mirano a fargli abbandonare le terre.
Secondo quanto testimoniato da Paolo, volontario di progetti civili internazionali come “Operazione Colomba” e “Mediterranea”, la resistenza di questa gente è radicata nell’attaccamento alla propria terra e identità, più che in azioni violente. Pur essendo esposte a minacce fisiche e psicologiche, le comunità si riorganizzano immediatamente dopo ogni distruzione, riprendendo con coraggio il lavoro nei campi e la vita familiare. In questo senso, la loro lotta si basa su una quotidianità che diventa strumento di opposizione a una condizione di occupazione e di sfratto.
La storia delle demolizioni e il ricorso alla corte suprema israeliana
Negli anni Ottanta l’esercito israeliano dichiarò gran parte di Masafer Yatta come zona militare per addestramenti, squalificando di fatto le case e i villaggi come aree inutilizzabili. Questa scelta ha rappresentato uno strumento giuridico per spostare intere comunità fuori dai loro abitati. Nel 2000, però, i residenti riuscirono a far accogliere alla Corte Suprema israeliana un ricorso che riconosceva il loro diritto di tornare nelle proprie abitazioni abusive abbattute.
Nonostante questo successo legale, l’ordine di demolizione continua a pesare su centinaia di abitazioni. Gli abitanti vivono costantemente nell’attesa di uno sfratto forzato che rischia di cancellare una presenza persa nei meandri del conflitto. Paolo definisce questa gestione come un “sistema di apartheid quotidiano” che include checkpoint militari, accesso limitato all’acqua e restrizioni di movimento. La strategia fa parte di un disegno più ampio volto a erodere il diritto di questi palestinesi a restare e costruire un futuro nel loro territorio.
Le violenze dei coloni e la mancanza d’intervento delle forze di sicurezza
Il fenomeno delle aggressioni da parte di coloni armati è ormai frequente. Questi gruppi si muovono anche di notte incappucciati, con l’intento di intimidire e scacciare gli abitanti. Secondo Paolo, la polizia israeliana presente spesso non interviene: in alcuni casi è composta proprio da persone vicine ai coloni, che operano con totale impunità. Le azioni violente non restano quindi isolate, ma sono un elemento ricorrente in un quadro di crescente ostilità.
La situazione mette sotto pressione la tenuta sociale dei villaggi, che però resistono nel tentativo di mantenere famiglia, lavoro e comunità. Al tempo stesso, la presenza di attivisti internazionali e israeliani contro l’occupazione sta contribuendo a portare visibilità a questo tipo di conflitto spesso ignorato dai media principali. Il messaggio di Paolo è che questa realtà merita attenzione per evitare che le comunità scompaiano in silenzio.
La resistenza di Masafer Yatta si manifesta così in una quotidianità di sfide e ricostruzioni, tra case che vengono rase al suolo e vite che si intrecciano con un contesto di oppressione e speranza. La richiesta principale guarda a un riconoscimento dello Stato palestinese e al rispetto delle norme internazionali, necessari per offrire un orizzonte di pace a chi da decenni vive nella costante pressione di espropri e violenze.
Masafer Yatta resta un esempio delle molteplici forme di resistenza che si sviluppano in Cisgiordania. Una testimonianza di come la forza di una comunità possa radicare la propria esistenza nonostante gli ostacoli imposti da un conflitto che continua ad avere ripercussioni profonde sulla vita delle persone.
Ultimo aggiornamento il 28 Luglio 2025 da Davide Galli