Home Mafia e appalti: l’inchiesta del Ros e le resistenze nella magistratura palermitana degli anni Novanta

Mafia e appalti: l’inchiesta del Ros e le resistenze nella magistratura palermitana degli anni Novanta

L’audizione di Mario Mori e Giuseppe De Donno alla Commissione parlamentare antimafia riaccende il dibattito su mafia, appalti pubblici e le difficoltà investigative degli anni Novanta in Sicilia.

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L’articolo ripercorre l’inchiesta degli anni ’90 del ROS sui legami tra mafia e appalti in Sicilia, evidenziando ostacoli istituzionali e politici che ne rallentarono l’efficacia, e riporta l’audizione di Mario Mori e Giuseppe De Donno alla Commissione antimafia, che collega il dossier all’attentato di via d’Amelio. - Unita.tv

Negli anni Novanta un’inchiesta del Ros aveva inaugurato un nuovo modo di indagare i legami tra mafia e appalti pubblici in Sicilia. Quel lavoro, però, incontrò difficoltà e ostacoli dentro la stessa magistratura di Palermo e nel contesto politico locale. A distanza di decenni, l’ex comandante del Ros mario Mori e il suo collaboratore Giuseppe De Donno hanno ripreso queste questioni davanti alla Commissione parlamentare antimafia, sollevando dubbi e aspettando risposte su vicende rimaste controverse.

L’inchiesta del ros su mafia e appalti e le prime difficoltà

Nel 1992 il Ros avviò un’indagine mirata a scoprire come la mafia influenzasse gli appalti pubblici, partendo da presupposti diversi rispetto ai metodi tradizionali. Paolo Borsellino, impegnato nell’esaminare quel dossier, ne intravide l’importanza fin dall’inizio. Quell’inchiesta, però, trovò una serie di freni istituzionali, soprattutto nella procura palermitana guidata allora da Pietro Giammanco. Secondo mario Mori, quell’ufficio giudiziario preferiva non approfondire il legame tra il sistema politico e gli interessi sulle opere pubbliche.

Difficoltà e rallentamenti

Mori ha spiegato come questa scelta fece perdere un’opportunità di ampliare le indagini, forse per agganciare nuove piste di rilievo. La scarsa valorizzazione del dossier portò a un rallentamento delle attività investigative che, se portate avanti, avrebbero potuto collegarsi all’inchiesta Mani pulite in Lombardia, come pensava anche Giovanni Falcone. L’indagine venne poi spezzettata e divisa tra diverse procure con quel che ne seguì: un indebolimento della sua efficacia, nato da interessi e pressioni esterne non chiarite in modo definitivo.

Gli ostacoli politici e il silenzio giudiziario che rallentarono le indagini

Accanto alle difficoltà istituzionali, Mori ha denunciato anche il peso della politica in quegli anni. Un “tombale silenzio” calò sull’inchiesta, come detto davanti alla Commissione parlamentare, riflettendo atavici interessi che volevano evitare che l’indagine sulla mafia e gli appalti si allargasse troppo. La paura di coinvolgere figure politiche potenti o di provocare scandali ha così influito su scelte investigative. L’attenzione pubblica e giudiziaria venne deviata, e l’accelerazione dell’inchiesta di fatto interrotta.

Isolamento dell’indagine

Questo quadro spiega in parte anche le tensioni e i contrasti che portarono a un isolamento dell’inchiesta e a un rallentamento della preparazione di elementi importanti per contestare i legami mafiosi con la politica locale. Mori ha sottolineato che tutto ciò creò una difficile condizione nella quale il lavoro degli inquirenti venne smembrato e indebolito, e dove la collaborazione tra le procure non risultò fluida ma piuttosto ostacolata.

L’audizione di mario Mori e Giuseppe de Donno alla commissione antimafia

L’audizione di mario Mori e Giuseppe De Donno, ripresa anche nei contenuti dal libro “L’altra verità”, ha riaperto la discussione su quel periodo. Entrambi hanno confermato una linea critica molto netta, puntando il dito soprattutto sulle responsabilità di alcuni uffici giudiziari. Mori, nel corso del suo intervento, ha aumentato il tono accusatorio verso quegli ostacoli istituzionali, invitando a non sottovalutare il peso che ebbero.

Il dibattito si è acceso con interventi di esponenti politici della maggioranza di centrodestra, che hanno mostrato sintonia con la posizione di Mori e De Donno, e della minoranza, dove Movimento 5 Stelle e Partito democratico hanno formulato critiche, sottolineando aspetti da approfondire o punti da verificare meglio. Il confronto fa emergere come quella vicenda sia ancora oggi fonte di controversie e dubbi, con questioni irrisolte sul vero andamento delle indagini e sulle ragioni precise degli ostacoli.

Il dossier su mafia e appalti come possibile movente dell’attentato di via d’Amelio

Uno dei temi centrali dell’audizione torna sulla tesi secondo cui il dossier su mafia e appalti avrebbe potuto essere il movente dell’attentato di via d’Amelio, in cui perse la vita Paolo Borsellino. Questa interpretazione, sostenuta da Mario Mori e De Donno, collega direttamente l’indagine a un episodio tragico della storia italiana. Il lavoro di Borsellino, visto come una minaccia per alcune parti politiche e per il sistema mafioso, avrebbe spinto gli ambienti coinvolti a reagire con la sua eliminazione.

Una luce nuova sull’attentato

L’ipotesi getta una luce diversa sulla sequenza degli eventi nei primi anni Novanta e sul contesto in cui vennero svolte le indagini. Rinforza l’idea che dietro l’attentato ci siano ragioni più ampie rispetto a quelle giudiziarie immediate, complicate da interessi nascosti intorno a temi come appalti, politica e criminalità organizzata. Alcuni elementi di questa pista restano ancora da chiarire, e le audizioni in corso vogliono sollecitare una maggiore trasparenza su quei fatti cruciali.