È ripartita la requisitoria nel processo per il crollo del ponte Morandi a Genova, quel tragico 14 agosto 2018 che ha spezzato 43 vite. I pubblici ministeri Marco Airoldi e Walter Cotugno hanno preso di mira l’ingegnere Gabriele Camomilla, uno dei 57 imputati, concentrandosi soprattutto sul suo ruolo nella manutenzione del viadotto. Secondo i pm, il suo approccio è stato troppo “leggero”, basato su controlli superficiali che non hanno colto i segnali di degrado ormai evidenti.
Camomilla e il “taglio” della manutenzione: un rischio sottovalutato
Gabriele Camomilla è stato direttore centrale delle manutenzioni per Autostrade per l’Italia, con responsabilità su parti chiave della rete. Sul ponte Morandi aveva messo mano fin dagli anni ’90, in particolare sulla pila 11, un punto cruciale della struttura. In quegli anni, si sono prese decisioni che hanno segnato la linea operativa: controlli veloci, senza entrare troppo nei dettagli, riservando le verifiche più approfondite solo ai casi che sembravano giustificare tempi e costi maggiori.
Nei documenti del processo lo descrivono come un “teorico della sorveglianza globale”, cioè uno che spingeva a limitare i controlli tecnici dettagliati. Ma i pm contestano questa scelta, sostenendo che andava bene forse per infrastrutture nuove o in buone condizioni, ma non per un ponte già compromesso come il Morandi.
Controlli troppo leggeri, un errore fatale
Marco Airoldi ha spiegato che l’approccio di Camomilla non era adatto a una struttura con problemi evidenti. Il Morandi presentava difetti gravi, soprattutto corrosione e problemi di iniezione del calcestruzzo, già segnalati negli anni ’80 da Riccardo Morandi, l’ingegnere che lo aveva progettato.
Secondo l’accusa, affidarsi a ispezioni superficiali ha nascosto i guasti più seri, quelli interni, che avrebbero dovuto far scattare l’allarme. Le verifiche limitate hanno lasciato fuori controlli su elementi con anomalie evidenti, mettendo a rischio la sicurezza. Avrebbero dovuto fare controlli più approfonditi, ma spesso sono stati evitati per non aumentare costi e tempi.
La pila 9, il caso simbolo della mancata manutenzione
Uno dei punti più caldi della requisitoria riguarda la pila 9. Camomilla è stato indicato come uno di quelli che hanno scelto di non intervenire, nonostante i segnali di pericolo. I pm mostrano come questa decisione abbia avuto un peso enorme: la pila 9 era una delle parti più critiche, con cedimenti già visibili.
Il mancato intervento è stato giustificato con l’idea che la manutenzione non fosse urgente. Ma i dati tecnici raccontano un’altra storia: difetti nell’iniezione e corrosione avanzata avrebbero richiesto riparazioni immediate. La scelta di rimandare o addirittura negare gli interventi è finita al centro dell’accusa, come una delle cause indirette del crollo.
La sentenza arriverà dopo aver valutato tutte le responsabilità emerse nel corso del processo e come gli imputati hanno gestito la manutenzione negli anni prima della tragedia. La giustizia chiede risposte anche sulle scelte tecniche e organizzative legate al ponte Morandi.
Ultimo aggiornamento il 21 Luglio 2025 da Andrea Ricci