Il 7 marzo 2023 a Sestri Ponente, Genova, è stato consumato un dramma che ha scosso la città: la morte di Sharmin Sultana, uccisa dal marito Ahmed Mustak. La corte d’assise ha stabilito la responsabilità di Mustak con una condanna a 22 anni e sei mesi per omicidio volontario aggravato. La vicenda assume valore anche per il contesto sociale e giudiziario in cui si inserisce, delineando un femminicidio consumato tra menzogne e gelosie.
Ricostruzione dei fatti: dall’omicidio alla messinscena suicida
La violenza è avvenuta tra la notte del 6 e il 7 marzo 2023 nell’abitazione della coppia a Sestri Ponente, quartiere di Genova. Ahmed Mustak, operaio originario del Bangladesh, ha colpito la moglie Sharmin Sultana, 32 anni, con un oggetto contundente in cucina. Il colpo ha provocato una grave ferita alla testa, probabilmente inferiore da dietro. La donna ha sofferto, presumibilmente, per ore prima che Mustak compisse il gesto definitivo: l’ha gettata dalla finestra ancora in vita.
I magistrati hanno ricostruito la dinamica del delitto in modo netto: non si è trattato di un incidente né di un suicidio come inizialmente sostenuto dall’imputato. La caduta dalla finestra non è stata altro che la fase finale dell’aggressione, pensata per nascondere l’omicidio vero e proprio e per simulare una morte autoinflitta. La corte ha etichettato con chiarezza il fatto come atto volontario con “schietto dolo”, senza margini di dubbio sulla natura criminosa dell’azione.
Secondo i pm, la scelta dell’uomo è stata motivata anche dal desiderio di controllare la moglie protestando contro il suo progetto di indipendenza, rappresentato dalla volontà di lavorare e dall’uso frequente dei social network. Questa gelosia e resistenza alle scelte di Sharmin Sultana sono emerse come fattori scatenanti del femminicidio.
La sentenza e le motivazioni: equilibrio tra colpa e vissuto personale
Il tribunale presieduto da Massimo Cusatti ha pesato con attenzione ogni elemento nella formulazione della pena. Ahmed Mustak è stato riconosciuto colpevole con condanna a 22 anni e sei mesi. Nel giudizio, la corte ha sottolineato la menzogna dell’imputato, definendo le sue versioni dei fatti “fantasiose e del tutto inverosimili”.
Il documento della sentenza rivela un ritratto complesso dell’uomo. Prima del delitto, Mustak conduceva una vita regolare, senza segnali di comportamenti violenti o fuori controllo. Tuttavia, la notte del delitto ha avuto un “momento di blackout” nel controllo delle pulsioni, cedendo a passioni distruttive che avrebbe invece dovuto dominare, come risulterebbe dal suo passato.
L’equilibrio che la corte ha cercato si manifesta nel trattamento delle aggravanti e delle attenuanti: le circostanze personali di Mustak, considerate le attenuanti, non hanno prevalso. Le aggravanti sono state ritenute equivalenti, giustificando così una pena severa ma ponderata.
Il rigore con cui è stata condotta la sentenza fa emergere la volontà della giustizia di contrastare in modo deciso la violenza di genere, soprattutto nei casi in cui si cerca di costruire una narrazione falsa per giustificare l’insostenibile.
Il femminicidio di Sharmin Sultana: un caso simbolo nel contesto italiano
La morte di Sharmin Sultana si inserisce tra i casi di femminicidio che restano al centro dell’attenzione nazionale. La donna, madre di due figli, è stata vittima di una violenza che si è consumata in un ambiente familiare apparentemente tranquillo, ma segnato da tensioni e gelosie mai risolte.
L’omicidio ha lasciato orfani i bambini, ai quali la legge ha riconosciuto un risarcimento di 200mila euro. Questo aspetto rafforza la consapevolezza sociale e giudiziaria del danno che deriva da questi delitti, non solo per la vittima diretta ma anche per l’intero nucleo familiare.
La vicenda rivela alcuni tratti purtroppo comuni nelle situazioni di violenza domestica: la resistenza al mutamento dei rapporti di potere tra i coniugi, la difficoltà di affrontare la gelosia che sfocia in aggressività, il ricorso a bugie per coprire un crimine. La giurisprudenza italiana, attraverso sentenze come questa, conferma l’impegno a non tollerare le violenze contro le donne, con pene che riflettono la gravità del gesto e il danno sociale prodotto.
La condanna di Mustak rappresenta un segnale netto verso chi pensa di poter consumare atti di violenza dietro la patina di bugie o di momenti di crisi personale. La corte ha fatto capire che la responsabilità resta totale e che ogni tentativo di nascondere la verità verrà smascherato con precisione, a tutela delle vittime e della società.
Ultimo aggiornamento il 26 Agosto 2025 da Luca Moretti