lavoratori del supermercato bennet e centro porte di milano: allarme chiusura e incertezza occupazionale
La chiusura del supermercato Bennet a Cesano Boscone entro il 31 maggio 2025 preoccupa 50 dipendenti e centinaia di lavoratori, sollevando dubbi sulla responsabilità delle proprietà e sul futuro occupazionale.

Il supermercato Bennet di Cesano Boscone chiuderà entro maggio 2025, mettendo a rischio 50 posti di lavoro diretti e coinvolgendo centinaia di dipendenti indiretti, con forti richieste di dialogo e interventi da parte delle istituzioni per tutelare occupazione e comunità locale. - Unita.tv
Il supermercato bennet di cesano boscone, ospitato all’interno del centro commerciale porte di milano, sta per chiudere entro il 31 maggio 2025. Questo annuncio ha generato preoccupazione tra 50 dipendenti diretti e altri circa 100 addetti nei negozi del centro. La situazione riapre una ferita aperta dieci anni fa, quando lo sciopero aveva impedito la chiusura dell’allora auchan. Oggi, però, il futuro del posto di lavoro è incerto e senza confronto, con molte famiglie in difficoltà e senza un vero dialogo con le proprietà.
La chiusura definitiva e l’impatto locale
La comunicazione ufficiale della chiusura definitiva ha colto di sorpresa i lavoratori di bennet e di molte attività del centro commerciale porte di milano. Cinque anni fa il punto vendita ereditò la posizione dell’ex auchan, evitando già una crisi più profonda. Ora, questa nuova decisione rischia di mettere alla porta cinquanta dipendenti diretti benché diverse centinaia di persone coinvolte nelle attività collaterali del centro siano anch’esse a rischio.
Un luogo vitale per il territorio
Per chi lavora a cesano boscone il negozio non è solo un ambiente di lavoro, ma anche un luogo dove si sviluppano relazioni sociali e riposizioni quotidiane. Da spazio di acquisto diventa un nodo fondamentale per la vita economica e sociale, riconosciuto da molte famiglie e abitanti del territorio. L’impatto a cascata della chiusura tocca quindi un ampio numero di persone, con una perdita occupazionale che stravolge anche il tessuto commerciale attorno al centro. In questo scenario si evidenzia un vuoto di responsabilità da parte della proprietà e dei gestori. Non è stata avviata una trattativa chiara né discussioni sulle possibili alternative al semplice smantellamento, sollevando dubbi sulla volontà di tutelare l’occupazione e il territorio.
Trasferimenti obbligati e difficoltà per i lavoratori
Molti contratti di lavoro sono stati accompagnati da comunicazioni di trasferimento a sedi molto distanti, come san martino siccomario e pieve fissiraga. Questi spostamenti sono complicati da accettare per chi già fatica a conciliare lavoro e famiglia. Oltre al disagio materiale e logistico, i lavoratori sottolineano come le nuove destinazioni rappresentino un costo umano ed economico non sostenibile.
Un costo umano ed economico
Questa imposizione rischia di allontanare professionisti che hanno già instaurato relazioni con il pubblico e la comunità locale e stravolge abitudini consolidate. Non è solo una questione di chilometri, ma della qualità della vita di chi avrebbe bisogno di stabilità, vicinanza alla casa e orari compatibili con i ritmi familiari. Di fatto, molti temono che questa decisione spinga verso dimissioni o perdita di reddito.
I lavoratori insistono sul fatto che il supermercato svolge una funzione sociale, un’esigenza oltre il mero impiego. La sua chiusura non si limita quindi a togliere un lavoro ma indebolisce un punto di riferimento quotidiano importante per chi vive nella zona.
Richieste di dialogo e interventi mirati dai dipendenti
Il gruppo di dipendenti ha scritto una lettera aperta in cui sottolinea la mancanza di trasparenza e di dialogo. Chiedono un incontro urgente che coinvolga azienda, proprietari dell’immobile, rappresentanti sindacali e istituzioni a livello locale, regionale e nazionale. L’obiettivo è evitare un teatrino di comunicazioni unilaterali e iniziare invece un confronto serio che porti a scelte sostenibili per chi rischia di perdere il lavoro.
Soluzioni per salvaguardare occupazione e territorio
Il focus si concentra su soluzioni di ricollocamento fattibili, che tengano conto delle condizioni di vita e delle esigenze delle persone coinvolte. Le richieste puntano alla salvaguardia del rispetto e alla necessità di ascoltare chi in questa situazione perde una fonte di reddito e sicurezza.
Viene chiesta inoltre una presa di responsabilità da parte della proprietà e delle aziende coinvolte, affinché non prevalga la logica dello smantellamento e del taglio netto, ma si ragioni su investimenti e strategie capaci di mantenere aperti punti di riferimento importanti per la comunità.
Ruolo chiave delle istituzioni per il destino di cesano boscone
L’appello finale è diretto alle istituzioni pubbliche: il comune di cesano boscone, la regione lombardia e il governo nazionale sono chiamati a intervenire per contenere i danni di questa chiusura. I lavoratori chiedono che le autorità facciano tutto il possibile per scongiurare il peggio e per garantire strumenti di sostegno immediato.
Una sfida sociale e occupazionale più ampia
La vicenda di bennet e del centro porte di milano si inserisce in un contesto più ampio, dove l’attenzione al lavoro come diritto e risorsa della comunità è spesso messa alla prova. Qui il rischio di perdere un presidio importante si trasforma in una sfida sociale, che non riguarda solo 50 posti diretti ma centinaia di famiglie e una realtà economica più complessa.
La lettera, consegnata e diffusa tramite canali sindacali, sollecita una maggiore trasparenza e la pianificazione di interventi concreti per evitare lo spostamento forzato di lavoratori, la perdita di competenze e la desertificazione commerciale dell’area.
Gli addetti replicano con una determinazione chiara: non accetteranno passivamente la chiusura e insisteranno per mantenere viva una discussione che mette al centro le persone dietro ogni divisa. Lo spettro della chiusura si fa più concreto ma il dialogo resta un punto fermo da perseguire fin da subito.