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L’attrazione degli inglesi per roma tra rovine, mistero e distacco culturale

L’interesse degli inglesi per Roma si è manifestato attraverso una visione complessa, oscillando tra ammirazione per le rovine e distacco culturale, con un focus su luoghi sicuri e pittoreschi.

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L'articolo analizza la complessa percezione degli inglesi su Roma, evidenziando il loro apprezzamento per le rovine e il pittoresco, ma anche la distanza culturale e religiosa dalla vita quotidiana e dai quartieri popolari come Trastevere. Roma viene vista come un enigma estetico e simbolo di decadenza, con il Colosseo al centro di riflessioni sul tempo e la memoria. - Unita.tv

L’interesse degli inglesi per roma si è sviluppato in modo complesso, oscillando tra ammirazione per le rovine e una distanza culturale netta rispetto alla vita cittadina quotidiana. Le testimonianze letterarie rivelano come la capitale sia stata interpretata attraverso una lente particolare, quella del pittoresco, che ha valorizzato il contrasto tra decadenza e bellezza storica. Nel corso del tempo, scrittori e intellettuali britannici hanno vissuto la città come un luogo affascinante ma anche enigmatico, spesso rifiutando di immergersi nelle zone popolari, percepite come ambigue e poco ospitali.

Il cimitero acattolico e la separazione dal quartiere di trastevere

Roma mostra un confine fisico e simbolico tra il cimitero acattolico, un tempo noto come cimitero degli inglesi, e il quartiere di trastevere. La strada via marmorata segna questo confine, scorrendo tra la piramide cestia e il tevere. Questo spartiacque è significativo perché riflette anche una separazione culturale: gli inglesi, che arrivavano in gran numero a roma dai primi decenni dell’Ottocento, evitarono trastevere, zona considerata malsana e temuta per il suo clima e per la vicinanza al tevere, percepita come poco sicura. Trastevere, con le sue strade strette e condizioni igieniche precarie, suscitava nei visitatori stranieri un senso di pericolo e disagio.

Non a caso, anche testimoni francesi, come i fratelli goncourt, hanno raccontato trastevere con toni cupi e noir, ricorrendo alla narrativa per descrivere la sua atmosfera inquietante. Hippolyte taine, filosofo francese, definì addirittura il quartiere “irrappresentabile” per il caos che vi regnava e per la sporcizia che impregnava ogni angolo. Dal punto di vista urbanistico, la zona appariva come una specie di favela ante litteram, difficile da raffigurare fedelmente in parole o disegni. Questo distacco alimentò una visione dura e stereotipata del rione, percepito come un luogo da evitare, specie da chi soggiornava a roma per ragioni culturali o di svago.

Il triangolo d’oro inglese

Gli inglesi prediligevano zone più sicure e tranquille della città. La loro comunità si concentrò soprattutto tra piazza di spagna, piazza del popolo e via sistina, un’area che i romani definirono “ghetto degli inglesi” per la presenza fissa di visitatori e residenti britannici. Qui gli inglesi costruirono una sorta di enclave culturale, mantenendo una distanza sociale e psicologica dal resto della città. In confronto ai francesi o ai tedeschi, gli inglesi erano più riservati e critici verso roma, ma meno ingenui degli americani che in seguito avrebbero visitato la città.

Questa scelta si lega alla loro percezione di roma attraverso il filtro del “pittoresco”, un concetto nato in Inghilterra alla fine del Settecento per descrivere paesaggi che combinano elementi naturali e rovine in modo armonioso ma disordinato. Mario praz ha evidenziato come questo stile rifletta un senso di bellezza legato a un decadimento affascinante e a un disordine gradevole. Roma, con le sue colonne rovesciate e le architetture antiche, incarnava alla perfezione questo ideale, mai offuscato da dettagli di vita quotidiana o degrado urbano. Questa visione contribuì a trasformare roma in un’immagine sospesa tra realtà e mito, più adatta alla contemplazione che all’esperienza diretta.

Roma come enigma estetico secondo john ruskin e la critica religiosa

John ruskin, noto critico d’arte vittoriano, ha lasciato una descrizione di roma che fa pensare a una tavolozza dove le emozioni forti si mescolano ai contrasti visivi. In questa visione, l’estetica si radica anche nelle imperfezioni e nelle miserie, oggetto di osservazione più che di disprezzo. Ruskin e gli inglesi successivi al periodo romantico non nutrirono lo stesso entusiasmo dei primi viaggiatori come shelley, keats e byron. Questi ultimi, infatti, avevano interpretato roma con molta immaginazione, valorizzando il simbolo della rovina come segno di grandezza passata.

Un altro motivo di distacco fu la componente religiosa, assai presente in roma e manifestata nelle chiese e nelle cappelle votive. Per molti intellettuali inglesi, il cattolicesimo appariva quasi come un elemento estraneo e a tratti sgradevole rispetto alla loro sensibilità protestante. Questo prisma religioso influenzò la percezione della città, generando una certa riluttanza a identificarsi completamente con il contesto romano. Non a caso, la maggior parte degli inglesi guardava a firenze come a una meta preferita, più accessibile e coinvolgente rispetto alla capitale. Thackeray e george eliot descrissero roma come un mistero mai completamente svelato, una città imponente ma essenzialmente inafferrabile.

Gli inglesi, il colosseo e la riflessione sul tempo e la rovina

Le impressioni più intense di roma sono legate alla sua fama di città eterna, ma anche decadente. Shelley, durante una visita al colosseo, ne colse il fascino proprio nella scelta di soffermarsi sul concetto di rovina. Per lui il colosseo non era soltanto un rudere, ma un simbolo potente, che evocava epoche lontane e passate glorie. La rappresentazione mentale della decadenza si sovrapponeva alla realtà fisica dei resti, conferendo al monumento un’aura magica e simbolica.

Questa riflessione segnò anche scrittori successivi, che videro nel colosseo un simbolo di passaggio tra epoche, un luogo dove il presente si confronta con il passato senza soluzione di continuità. Il colosseo non poteva essere ridotto a un semplice manufatto archeologico, ma saliva a rango di icona capace di suscitare sentimenti contrastanti tra ammirazione e malinconia. I visitatori inglesi elaborarono così una lettura della capitale sospesa tra bellezza e rovina, capace di riflettere interrogativi più ampi sul tempo, la storia e la memoria collettiva.