La veneranda biblioteca ambrosiana e jago aprono un dialogo tra arte classica e contemporanea con la canestra di armi

La mostra alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, curata da Maria Teresa Benedetti, confronta la Canestra di frutta di Caravaggio con l’opera contemporanea dello scultore Jago, esplorando vita e morte.
La Biblioteca Ambrosiana di Milano ospita fino al 4 novembre una mostra che mette a confronto la natura morta di Caravaggio con una scultura di Jago, riflettendo sul tema della vita, della morte e della violenza contemporanea. - Unita.tv

La veneranda biblioteca ambrosiana di Milano ospita fino al 4 novembre un confronto unico tra passato e presente, mettendo a dialogo la celebre Canestra di frutta di Caravaggio e un’opera dello scultore Jago. Questa mostra, curata da Maria Teresa Benedetti, presenta un’originale riflessione sulla vita e sulla morte attraverso due visioni della natura morta, profondamente diverse ma ugualmente potenti. L’evento attira l’attenzione sul significato dell’arte oggi e su come possa parlare di realtà drammatiche contemporanee.

La mostra natura morta jago e caravaggio: un accostamento dal forte impatto visivo e concettuale

La mostra che interessa la veneranda biblioteca ambrosiana si basa su un confronto diretto fra due opere che rappresentano la natura morta in modo radicalmente diverso. Da un lato la Canestra di frutta di Caravaggio, capolavoro iconico della pittura barocca che raffigura frutti maturi destinati a marcire, metafora del tempo e della caducità umana. Dall’altro, la scultura di Jago che sostituisce i frutti della natura con armi e strumenti di morte: pistole, mitragliatrici, oggetti prodotti in serie che riempiono una cesta simile a quella del maestro lombardo.

Jago e la sua visione sull’arte e la violenza

Jago, al secolo Jacopo Cardillo, si presenta con umiltà e ammette che «qui il vero artista è lui, Caravaggio». Vuole però scuotere il pubblico con la sua personale denuncia del mondo attuale: un’esistenza, dice, invasa dalla violenza e dal conflitto. Le armi di cui si riempie la sua cesta non sono decorazioni, ma simboli di morte e distruzione, strumenti che consumano la vita e divorano ogni senso. Lo scultore ha detto di vivere questa realtà con dolore e di non trovare più parole per descriverla, specialmente osservando la guerra in atto e le tragedie come quella di Israele di cui parla definendola «un genocidio».

La scelta del marmo e il dialogo con la tradizione artistica italiana

Il materiale scelto da Jago per la sua opera, il marmo, è elemento fondamentale del messaggio. Il marmo è un materiale che ha segnato la storia dell’arte italiana: eterno, nobile, legato alle grandi sculture del passato. Qui però si usa per raccontare una ferita della contemporaneità, per portare nel presente un tema difficile e attuale. La scultura, infatti, quanto a tecnica e leggibilità, si rifà alla tradizione, ma rompe con essa per denunciare un’epoca in cui la morte è diventata un prodotto di consumo quotidiano.

Le parole di monsignor alberto rocca

Monsignor Alberto Rocca, direttore della pinacoteca ambrosiana, ha evidenziato come l’opera di Jago presenti uno spunto critico significativo. La sua cesta non è più piena di frutti innocenti e naturali come quelli di Caravaggio, ma di oggetti sofisticati ma artificiali, strumenti costruiti per uccidere. Il confronto fra le due opere suscita una riflessione intensa, capace di stimolare un dialogo al tempo stesso estetico e morale.

Il senso sociale e politico dietro la scultura di jago

Jago ha sviluppato l’idea di questa installazione pensando al mondo attuale, afflitto da guerre e violenze di ogni tipo. L’opera diventa un modo per dare forma a quella «violenza silenziosa» che attraversa non solo i conflitti armati, ma anche i rapporti umani quotidiani dominati da rifiuto, sopraffazione e indifferenza. Il cesto di armi funge da metafora della società contemporanea, dove sembra prevalere la distruzione sulla vita.

L’artista parla di una necessità di reagire: contro le stragi e la morte serve portare il bello, uno sforzo per ristabilire un equilibrio. Il lavoro di Jago si inserisce in un percorso artistico segnato da installazioni in spazi pubblici, desertici o su navi che salvano vite, scelte che confermano la sua attenzione verso la realtà e la contemporaneità. Questa mostra all’ambrosiana si distingue poiché il luogo stesso, custode di capolavori storici, diventa teatro di un dialogo tra epoche molto distanti eppure connesse da un tema universale.

Il messaggio finale e la speranza che nasce dall’arte

Dal confronto fra Caravaggio e Jago emerge una domanda cruciale: cosa resta della vita quando il tempo e le azioni umane la consumano? Lo scultore ricorda i sapori della frutta dipinta dal maestro, ma associa la sua cesta a un ricordo di orrore e morte. Da qui un invito a riflettere sulle condizioni del mondo e sul ruolo dell’arte.

Jago esorta a una «rivoluzione interiore» che parta dal riconoscersi nell’altro e dal coltivare il dialogo e l’amore. Non pretende di cambiare il mondo con la sua arte, ma vuole offrire a chi osserva un’occasione per pensare e trasformare le cose. La veneranda biblioteca ambrosiana, con questa esposizione, arricchisce la sua storia di custode dell’arte introducendo un confronto vivo e scomodo, destinato a scuotere animi e coscienze. La mostra sarà aperta fino al 4 novembre e si annuncia come un punto d’incontro di passato e presente, dove l’arte racconta la vita e la morte senza filtri.