
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone, magistrato simbolo nella lotta alla mafia, viene ucciso nella strage di Capaci insieme a sua moglie e tre agenti della scorta, segnando una svolta cruciale nella storia italiana e nella lotta contro Cosa nostra. - Unita.tv
Il 23 maggio 1992 segna una delle pagine più drammatiche nella storia italiana. Giovanni Falcone, magistrato simbolo nella battaglia contro la mafia, perde la vita nella strage di Capaci insieme a tre agenti della scorta e alla moglie Francesca Morvillo. Questo evento sconvolge il paese e mette in luce la violenza estrema con cui Cosa nostra cerca di difendersi. Falcone aveva conquistato un ruolo chiave grazie alle sue indagini, rivoluzionando il modo di affrontare la criminalità organizzata.
L’attentato di capaci: dinamica e vittime
La mattina del 23 maggio 1992, sull’autostrada tra Palermo e l’aeroporto, un grande quantitativo di esplosivo era stato nascosto sotto un tunnel da Pietro Rampulla, artificiere della mafia. Giovanni Brusca, posizionato su una collinetta che sovrastava il tratto, diede il segnale con la frase «antonino gioè mi dice: via via via» ripetuta tre volte, a indicare che era il momento giusto per far esplodere la carica. Al comando di Brusca, l’esplosione distrusse l’auto di Falcone, che viaggiava con la moglie e la scorta.
Le vittime dell’attentato
Morirono sul colpo Falcone, gli agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. Francesca Morvillo spirò poco dopo in ospedale, mentre Giuseppe Costanza, l’autista seduto sul sedile posteriore, sopravvisse. L’attentato chiuse una stagione in cui Falcone era diventato il nemico numero uno di Cosa nostra, che rispose con un’azione brutale e pianificata nei dettagli.
Il ruolo di giovanni falcone nella lotta alla mafia
Falcone entrò nella magistratura con l’obiettivo di dare una risposta concreta alla criminalità organizzata. Grazie a una rete di collaboratori, fra cui spiccava Tommaso Buscetta, riuscì a ricostruire la struttura piramidale della mafia. Individuò i mandanti e gli esecutori della cosiddetta “mattanza”, le violenze che avevano insanguinato Palermo.
Con Paolo Borsellino e il pool di Antonino Caponnetto, Falcone contribuì a portare a giudizio 474 imputati nel maxiprocesso più vasto mai celebrato in Italia. Questo procedimento divenne il simbolo dello Stato che non si arrendeva. Falcone introdusse nuovi metodi investigativi puntando anche sui beni confiscati ai mafiosi, smascherando la capacità di infiltrazione della mafia nell’economia e nel sistema politico.
Lo scontro con la politica e le oscure pressioni interne
Non tutto però era a favore di Falcone. Nel suo percorso incontrò una forte opposizione anche all’interno dell’apparato giudiziario. Era spesso emarginato o ostacolato in alcune sedi, come nel caso della Procura generale, dove veniva accusato di danneggiare “l’economia” a causa delle sue inchieste.
Nel 1989 sfuggì a un attentato all’Addaura, dove una carica esplosiva venne scoperta e disinnescata prima che esplodesse. In quegli anni, circolavano dicerie sulla sua persona e c’erano malumori che ne intaccavano l’immagine all’interno del “palazzo dei veleni”. Questi ostacoli non fermarono però il suo impegno, che lo portò infine a un incarico di rilievo al ministero della Giustizia.
Azioni di contrasto dello stato
Lo Stato rispose al massacro con una forte volontà di proseguire la lotta antimafia. Il maxiprocesso, sostenuto dalle deposizioni di Buscetta e di numerosi collaboratori, ottenne una sentenza definitiva in Cassazione che condannò molti boss.
Cosa nostra reagì con nuovi assassinii violenti. L’eliminazione dell’onorevole Salvo Lima, considerato uomo di riferimento politico per la mafia, segnò una svolta. La sua morte indebolì anche la candidatura di Giulio Andreotti alla Presidenza della Repubblica.
Il clima nel paese divenne sempre più teso, e 57 giorni dopo la strage di Capaci, anche Paolo Borsellino veniva ucciso. Gli attacchi dimostrarono la volontà di interrompere ogni tentativo di contrasto da parte dello Stato e di contaminare le istituzioni con rapporti occulti.
La strage di Capaci resta uno degli atti più violenti compiuti dalla mafia, un evento che ha segnato profondamente la storia italiana. Giovanni Falcone, con il suo lavoro, ha lasciato una traccia indelebile nella lotta contro la criminalità organizzata, segnata da molti sacrifici e da una tenace determinazione delle istituzioni per impedire il ritorno di quella stagione oscura.