Palermo ha vissuto una trasformazione profonda, almeno nel modo in cui i suoi abitanti guardano alla mafia e al senso di comunità. Un ex magistrato nato e cresciuto in città racconta come, negli ultimi decenni, sia cambiato lo sguardo soprattutto delle nuove generazioni sul fenomeno mafioso. Il racconto si focalizza sulle differenze tra il suo passato e la coscienza precisa degli attuali giovani, segnalando un elemento chiave per il futuro: il calo del consenso verso le organizzazioni criminali.
La nuova generazione che rifiuta il consenso alla mafia
Parlando dei suoi tre figli, tutti ventenni, il magistrato spiega come i giovani attuali abbiano un rapporto diverso con la mafia. A differenza di chi li ha preceduti, non accettano più l’idea che la mafia possa essere un elemento naturale dentro la società locale. Non trovano scontato che un’organizzazione criminale controlli parti della città, sia attraverso la paura sia grazie a un consenso diffuso.
Le radici del consenso mafioso
Questo rifiuto del consenso appare cruciale. Secondo l’ex magistrato, la forza più grande della mafia è proprio quel consenso che la circonda, quel tacito accordo di convivenza che la distingue da altre organizzazioni illegali. Se i giovani vengono educati a non offrire più questo sostegno, anche se la mafia resterà potente, la sua influenza inizierà a declinare.
L’ottimismo dell’ex magistrato risiede proprio qui: nel vedere che la nuova generazione può modificare le dinamiche sociali, riducendo quel consenso avuto in passato. Anche se i risultati giudiziari non sono ancora all’altezza delle aspettative e la mafia mantiene il suo potere, il cambiamento culturale tra i giovani è un segnale importante per il futuro.
La perdita di identità della comunità palermitana e i segnali di cambiamento
La città di Palermo, secondo l’ex magistrato, ha perso progressivamente quel senso condiviso di appartenenza che univa i suoi abitanti. Nei fatti racconta che la maggior parte delle persone non si riconosce più in un progetto comune, né nei valori o nelle esigenze condivise. Questo sfilacciamento sociale ha contribuito a creare un terreno favorevole alla mafia, che si è inserita come un potere quasi naturale all’interno della vita cittadina.
Il giudice sottolinea che un tempo anche lui, durante l’adolescenza, osservava la mafia con indifferenza, un sentimento diffuso tra molti in quegli anni. Era più facile girarsi dall’altra parte e accettare la presenza di queste organizzazioni. Con il passare del tempo però, qualcosa è cambiato nel cuore dei più giovani. I ragazzi di oggi conoscono bene il pericolo che la mafia rappresenta. Sono consapevoli del problema che ancora pesa sulla città, e questa presa di coscienza rappresenta un punto di svolta evidente rispetto al passato.
Il contributo della società civile
È necessario, conclude il magistrato, incoraggiare e alimentare questa coscienza tra i giovani. La scommessa più importante riguarda la capacità delle nuove generazioni di prendere il controllo delle istituzioni sociali e culturali senza la rassegnazione verso la mafia o quella passività che per decenni ha permesso alla criminalità organizzata di imporsi.
La storia di Palermo dimostra come la presenza mafiosa sia stata sostenuta da un consenso più o meno esplicito della città. Non si tratta solo di azioni di polizia o di magistratura, ma di una trasformazione che deve nascere dal basso. Il giudice segnala che ci vorranno anni per ottenere cambiamenti concreti, ma il punto di partenza è chiaro: il no alla criminalità mentre si costruisce una comunità consapevole e unita.
Nello scenario attuale, Palermo si trova a un bivio. Crescere una generazione che rifiuta la mafia come interlocutore possibile significa minare le basi su cui si regge la sua influenza. Questo processo richiede tempo, ma la nuova consapevolezza dei giovani restituisce un barlume di speranza che non si vedeva da decenni.