Home La corte d’appello di trento condanna danna per licenziamento in gravidanza: discriminazione riconosciuta

La corte d’appello di trento condanna danna per licenziamento in gravidanza: discriminazione riconosciuta

La corte d’appello di Trento condanna l’azienda Dana per discriminazione di genere, ordinando la ricollocazione e il risarcimento a una lavoratrice licenziata durante una gravidanza a rischio.

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La corte d’appello di Trento ha riconosciuto la discriminazione di genere in un caso di licenziamento per gravidanza a rischio di una lavoratrice in staff leasing, condannando l’azienda Dana a risarcimenti e ricollocazione, ribadendo la tutela della maternità anche nei contratti precari. - Unita.tv

Un caso di discriminazione sul lavoro ha trovato una risposta legale importante in Trentino. Una donna impiegata con contratto in staff leasing è stata licenziata dopo aver comunicato la gravidanza a rischio. La corte d’appello di Trento ha dato ragione alla lavoratrice, condannando l’azienda Dana per comportamento discriminatorio e ordinandone la ricollocazione e il risarcimento. La vicenda mette in luce la tutela del diritto alla maternità anche per lavoratori precari e sottolinea la responsabilità delle aziende nel rispetto delle condizioni delle donne in stato di gravidanza.

I fatti che hanno portato alla causa per licenziamento in gravidanza

La vicenda risale al 2021. La donna, impiegata nell’ufficio contabilità, era assunta da Dana tramite un contratto di somministrazione a termine, con una missione attiva fino al 2049. Durante la gestazione, che si era complicata con una gravidanza a rischio, Dana ha deciso di interrompere la missione della lavoratrice, escludendola dall’organico. Così la donna è tornata all’agenzia di somministrazione, dove però non è stata ricollocata a causa dello stato di gravidanza. In quel momento, ha potuto ricevere solo un’indennità di mancata missione, pari a un terzo del salario che avrebbe percepito se la tutela della maternità fosse stata rispettata.

Questa interruzione così improvvisa e legata al suo stato, ha allarmato sindacati e rappresentanti delle lavoratrici. L’avvocata Sonia Guglieminetti ha preso in carico il ricorso, sostenuta da Fiom, Nidil e dall’Ufficio vertenze della Cgil del Trentino, con l’obiettivo di ottenere giustizia e ristabilire un diritto fondamentale.

La difesa dell’azienda e la svolta giudiziaria

In prima battuta, Dana ha negato qualsiasi responsabilità verso i lavoratori somministrati, affermando di non avere alcun dovere nei loro confronti. Successivamente, nel procedimento davanti al giudice del lavoro, ha presentato una versione diversa, sostenendo che la scelta di interrompere la missione fosse collegata a una ristrutturazione aziendale e che la coincidenza con la gravidanza fosse del tutto casuale. L’azienda ha inoltre sottolineato che una situazione simile si era verificata anche con un’altra lavoratrice in stato di gravidanza, per rafforzare la teoria dell’imparzialità nelle decisioni.

Tuttavia, la corte non ha condiviso questa ricostruzione. L’analisi dei fatti ha evidenziato che, tra circa mille lavoratori, stabili e precari, le uniche due persone estromesse erano proprio quelle due donne in dolce attesa. Questo elemento ha portato la corte a riconoscere come la decisione dell’azienda fosse indirizzata contro donne in gravidanza, configurando quindi una discriminazione di genere.

La sentenza della corte e le implicazioni per i contratti in somministrazione

La corte ha chiarito che lo stato di gravidanza richiede una protezione specifica, anche nel caso di contratti temporanei o di somministrazione. Il diritto alla maternità non può essere disatteso solo perché un rapporto di lavoro ha carattere precario. Anzi, questo impegno di tutela assume maggiore importanza proprio per evitare che incertezza e fragilità contrattuali diventino motivo di discriminazione.

Dana è stata condannata a riconoscere alla lavoratrice la retribuzione completa fino al compimento del primo anno di vita del bambino. L’azienda dovrà inoltre risarcire il danno subito a causa della discriminazione di genere e dovrà farsi carico integralmente delle spese legali. Il tribunale ha quindi ribadito il valore irrinunciabile della protezione della maternità e il divieto assoluto di discriminare sulla base dello stato di gravidanza.

Ruolo dei sindacati e impatto sul mondo del lavoro interinale

Questa sentenza ha coinvolto attivamente le organizzazioni sindacali locali, in particolare la Fiom, il Nidil e la Cgil del Trentino, che hanno seguito passo passo il caso. Il loro intervento ha rappresentato un sostegno stabile e concreto per la lavoratrice. La vicenda mette l’attenzione sulle difficoltà che le donne incontrano quando sono assunte con formule di contratto meno tutelate, come la somministrazione a termine. Lo sappiamo, spesso queste tipologie di lavoro lasciano poco spazio alla protezione dei diritti legati alla maternità.

Il caso Dana illustra come sia necessario che le aziende, anche nel contesto degli incarichi precari, rispettino le normative antidiscriminatorie e garantiscano il rispetto della condizione femminile. I sindacati si dimostrano attenti a questi aspetti che riguardano la vita quotidiana di molte lavoratrici e si mostrano pronti a intervenire quando i diritti vengono messi in discussione.

I giudici hanno evidenziato che la tutela della maternità non può essere un privilegio solo per chi ha contratti stabili, ma un dovere previsto dalla legge che riflette una dimensione di equità e rispetto nel rapporto di lavoro. La sentenza dà quindi un segnale chiaro contro ogni comportamento che possa ledere questa barriera fondamentale.