La classe 2E scopre l’origine dei propri vestiti tra etichette e confronti sui prodotti made in italy e fast fashion
Un laboratorio della 2E di una scuola italiana ha esplorato le origini dei capi d’abbigliamento, promuovendo consapevolezza sulle condizioni di produzione e sull’impatto del fast fashion.

La classe 2E di una scuola italiana ha esplorato l’origine degli indumenti quotidiani, riflettendo sulle implicazioni sociali, economiche e ambientali legate alla produzione globale e al valore del made in Italy. - Unita.tv
La 2E di una scuola italiana si è cimentata in un’attività originale che ha trasformato un semplice controllo delle etichette in un viaggio tra paesi lontani e realtà produttive diverse. L’iniziativa punta a far riflettere i ragazzi sul valore di ciò che indossano ogni giorno, a partire dal laboratorio in classe con la lettura delle origini di scarpe, magliette, felpe, jeans e giubbotti, tutti capi diventati quasi una divisa quotidiana. Hanno partecipato anche le insegnanti, creando un clima di apertura e confronto senza pregiudizi o giudizi sulle scelte personali.
L’analisi delle etichette come strumento di conoscenza
Il momento centrale dell’esperienza è stato il controllo puntuale delle etichette, con attenzione particolare alle diciture del made in riportate su ogni capo. I ragazzi hanno portato in aula tutto ciò che indossavano, comprese scarpe e felpe, e hanno confrontato la provenienza dei prodotti. Poi, molti hanno continuato ad approfondire spostandosi persino in bagno per leggere con calma le scritte nascoste sotto la suola o all’interno delle cuciture.
In questo modo, hanno scoperto un vero e proprio giro del mondo tessile, fatto di paesi spesso lontani e poco conosciuti: Bangladesh, Cina, Cambogia, Vietnam, Thailandia, Indonesia e Turchia. Solo in pochi casi sono emersi paesi più vicini, come Spagna e Portogallo, a testimonianza di come la produzione globale si sia spostata soprattutto in Asia. Molti di quegli stati sono associati a produzioni di massa a basso costo, adottate dalle grandi catene di fast fashion che dominano il mercato e che i ragazzi frequentano abitualmente. Non tutti però sapevano collocare con precisione questi nomi sulla mappa, e il Pakistan ad esempio è apparso sconosciuto a più di qualcuno.
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Fast fashion e quotidianità tra comodità e consapevolezza
Il laboratorio ha sottolineato un fenomeno diffuso: la maggior parte degli studenti compra la propria abbigliamento nelle grandi catene, facilmente accessibili e con prezzi bassi. Questi marchi, conosciuti e diffusi ovunque, aggiornano costantemente le collezioni creando un affollamento di novità. Questo flusso continuo spinge a un consumo veloce, che non tiene conto delle condizioni di lavoro né dell’impatto ambientale.
Gli studenti non si sono trovati in una posizione di colpa, perché tutti vivono questa realtà di consumo. L’insegnamento più diretto è stato capire da dove arrivano realmente i capi indossati, senza giudicare la scelta di comprarli. L’obiettivo era portare a una riflessione più consapevole su cosa significhi indossare un prodotto made in Bangladesh o Vietnam, e quali possano essere le differenze rispetto a un capo prodotto in paesi con regole di tutela maggiori.
Made in italy e la percezione di qualità
Nel corso della discussione, è spuntata la testimonianza di Ale che ha raccontato il suo recente viaggio a Milano per visitare la Scala con la scuola. Per quell’occasione, Ale e i suoi compagni si erano vestiti in modo diverso, scegliendo capi made in Italy. “Prof, ero tutto made in Italy!” ha detto con orgoglio. Quel tipo di abbigliamento, più costoso e probabilmente meno soggetto a usura veloce, rappresenta per lui qualcosa di unico, da usare più volte e non da buttare a fine stagione.
Il made in Italy, in questo racconto, torna ad assumere valori tradizionali legati alla qualità artigianale e alla sicurezza sul lavoro. Non è solo una questione di prezzo più alto, ma di garanzie di trattamento equo per chi produce e di attenzione alle normative ambientali che regolano la filiera produttiva. Il racconto di Ale evidenzia anche come l’abbigliamento possa diventare simbolo di occasioni speciali, diversità dall’ordinario, ma pure di un legame con la propria terra e tradizione industriale.
Riflessioni sull’abbigliamento come mondo complesso
L’approfondimento proposto alla 2E mostra, insomma, la complessità che sta dietro a capi vissuti come semplici indumenti. C’è un mondo nascosto fatto di culture, economie e condizioni di lavoro talvolta lontane dal nostro quotidiano. Far emergere queste consapevolezze nei giovani è fondamentale per avvicinarli a scelte più riflettute e meno dettate dalla semplice comodità o dal prezzo.