Il carcere di Prato è al centro di un’indagine dopo due episodi violenti avvenuti il 4 giugno e il 5 luglio scorsi. Le tensioni hanno portato a nuove perquisizioni tra i detenuti, mentre gli inquirenti indagano anche su possibili complicità interne alla struttura. Il quadro che emerge riguarda resistenza, lesioni, danneggiamenti e l’uso illecito di dispositivi tecnologici all’interno della casa circondariale.
I disordini del 4 giugno e del 5 luglio: cronaca degli eventi
Il primo episodio risale al 4 giugno quando cinque detenuti – italiani, marocchini e libici – hanno minacciato gli agenti con frasi come “stasera si fa la guerra” o “si muore solo una volta, o noi o voi”. La situazione è degenerata rapidamente in una vera sommossa interna. Il secondo episodio si è verificato il 5 luglio nella sezione Media Sicurezza. Una decina di detenuti ha barricata la zona tentando di incendiare materiali presenti nella cella. Hanno usato spranghe e cacciaviti per sfondare cancelli con le brande come arieti improvvisati.
Gli agenti antisommossa sono intervenuti per riportare l’ordine dopo ore di tensione. Questi fatti mostrano una situazione critica dentro il carcere dove la sicurezza viene messa a dura prova da azioni violente dei reclusi.
Le accuse nel fascicolo d’indagine: resistenza, lesioni e danneggiamenti
L’inchiesta aperta dalla procura ipotizza diversi reati legati ai disordini: resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali causate agli agenti durante gli scontri e danneggiamenti alle strutture carcerarie. Oltre agli aspetti criminali diretti dei detenuti coinvolti nelle rivolte si indaga anche sulle modalità con cui questi episodi sono potuti accadere.
I magistrati vogliono capire se ci siano state condotte collusive da parte degli operatori penitenziari che avrebbero agevolato le azioni dei reclusi oppure non abbiano reagito adeguatamente alle prime avvisaglie delle sommosse.
Sospetti su polizia penitenziaria e richiesta d’intervento delle autorità esterne
Le indagini guardano con attenzione al ruolo svolto da alcuni appartenenti alla polizia penitenziaria all’interno della struttura carceraria. Viene valutata l’eventuale compiacenza o addirittura collaborazione con i detenuti durante le rivolte o nell’introduzione illegale di telefoni cellulari dentro il carcere.
La procura ha chiesto inoltre un intervento più deciso delle autorità esterne come prefetto e questore per rafforzare la sicurezza intorno alla casa circondariale ed evitare ulteriori problemi legati a traffici interni ed esterni.
Uso illecito dei telefoni cellulari: numerosi sequestri ma fenomeno ancora diffuso
Secondo quanto riferito dal procuratore Luca Tescaroli nell’ultimo anno sono stati sequestrati ben 41 telefoni cellulari insieme a tre schede sim e un router all’interno del carcere di Prato. Tuttavia dalle ultime rilevazioni emerge che nuovi dispositivi risultavano attivi anche nei giorni successivi alle maxi operazioni contro questo fenomeno illegale effettuate tra fine giugno ed inizio luglio.
I telefoni entrano sfruttando soprattutto la libertà concessa ai detenuti durante permessi esterni ma anche grazie ad alcune complicità interne fra gli agenti della polizia penitenziaria incaricati della sorveglianza quotidiana nelle sezioni detentive più sensibili come quella Alta Sicurezza dove uno dei prigionieri pubblicava foto della sua cella direttamente su TikTok usando proprio uno smartphone nascosto illegalmente dentro il carcere stesso.
Gestione delle comunicazioni fuori dal carcere attraverso complicita interne
Non solo ingressione fisica degli apparecchi ma dietro questa rete illegale c’è una gestione organizzata che coinvolge sia alcuni agenti corrotti sia persone fuori dalla struttura tramite permessi premio concessi senza controllo rigoroso. In questo modo vengono manovrati telefoni cellulari, router wireless ed altre forme comunicative verso l’esterno creando canali paralleli non autorizzati dall’amministrazione penitenziaria né dalle forze dell’ordine preposte al controllo interno.
Queste attività compromettono gravemente l’ordine carcerario oltre ad alimentare traffici criminali extra-murari difficili da monitorare senza interventi mirati sulla vigilanza interna.
L’inchiesta prosegue quindi tra verifiche approfondite sui comportamenti interni, controlli serrati sulle tecnologie proibite introdotte illegalmente dai reclusi, fino ad arrivare eventualmente a misure restrittive maggiori sull’organizzazione interna dell’amministrazione del carcere.