Il 12 marzo 2024, jordan tinti, conosciuto come jordan jeffrey baby, trapper di 26 anni, è stato trovato morto nella sua cella del carcere di torre del gallo, a pavia. L’uomo accusava un suo compagno di detenzione di averlo aggredito sessualmente. Dopo un processo con rito abbreviato, l’imputato, un detenuto di 51 anni trasferito in carcere a cremona, è stato assolto con formula dubitativa. Il caso ha riaperto il dibattito sulla gestione delle denunce in carcere e sulla morte del giovane, su cui restano aperte diverse ipotesi.
La vicenda giudiziaria sul presunto abuso in carcere a pavia
La denuncia di jordan tinti riguardava una presunta violenza sessuale subita nel carcere di torre del gallo. L’imputato, arrestato e processato a pavia, ha sempre negato le accuse. La procura inizialmente aveva chiesto l’archiviazione per mancanza di prove, ma il giudice luigi riganti ha respinto la richiesta accogliendo l’opposizione dell’avvocato federico edoardo pisani, legale dei familiari di jordan. Grazie a questa decisione, la vicenda è stata riaperta e l’uomo è arrivato a processo.
Rito abbreviato e richiesta di pena
Nel corso del processo con rito abbreviato, la pubblica accusa aveva chiesto una pena di 2 anni e 8 mesi, ridotta rispetto ai 4 anni previsti dalla pena base. Il procedimento si è concluso invece con un’assoluzione motivata dal dubbio, prevista dal comma 2 dell’articolo 530 del codice di procedura penale. La formula dubitativa segnala come non sia stata trovata una prova sufficiente a condannare l’imputato, lasciando aperti interrogativi sulle dinamiche reali della vicenda.
Le reazioni della famiglia e le criticità sulle indagini
I genitori di jordan, presenti in aula durante la lettura della sentenza a pavia, hanno espresso profonda delusione per l’assoluzione. Anche l’avvocato pisani ha reagito con amarezza, promettendo di impugnare la decisione, indipendentemente dalle motivazioni ufficiali fornite dal tribunale.
Lacune nelle indagini
Il legale ha sottolineato come la fase investigativa abbia mostrato diverse lacune. L’indagine, iniziata con la richiesta di archiviazione, ha poi subito la spinta di un diverso giudice che ha imposto l’imputazione coatta. La denuncia di jordan, le testimonianze di due agenti di custodia, di un ulteriore testimone e i certificati medici registrati in infermeria sembravano indicare una versione credibile della violenza subita, ma non sono bastati a ottenere una condanna.
Questa sentenza mette in luce le difficoltà nel dimostrare episodi di violenza sessuale all’interno delle carceri, ambiente spesso chiuso e poco trasparente. La complessità del caso rimane un elemento di riflessione sia per il sistema giudiziario sia per gli organi competenti nel monitoraggio delle carceri.
L’inchiesta sulla morte di jordan e le nuove accuse nel processo
La morte di jordan tinti resta avvolta nel mistero. Inizialmente la pista del suicidio era quella più accreditata. La procura di pavia ha aperto un fascicolo con ipotesi di omicidio colposo, per accertare eventuali responsabilità nella gestione carceraria o in altri soggetti coinvolti.
Non a caso, nell’autunno precedente, un altro trapper rinchiuso con jordan, gianmarco fagà, era stato condannato a tre anni e un mese per maltrattamenti nei suoi confronti. Entrambi erano finiti in cella dopo un’accusa per aggressione a un operaio durante un episodio a carnate.
Le indagini proseguono per chiarire se la morte di jordan sia da collegare direttamente alle violenze subite o ad altri fattori interni al carcere. Restano aperte diverse piste e si attendono ulteriori sviluppi nei prossimi mesi.
La vicenda segna una pagina complessa del sistema penitenziario italiano e lascia aperti interrogativi sulla tutela dei detenuti vittime di abusi.