Il racconto di hugo weber attraverso la fotografia tra guerra e vita quotidiana in ucraina
Il fotografo francese Hugo Weber esplora la realtà ucraina attraverso immagini che raccontano storie di vita e resilienza, evitando il sensazionalismo e riflettendo sull’impatto dell’intelligenza artificiale nella fotografia.

Il fotografo francese Hugo Weber documenta la vita e la resilienza degli sfollati ucraini attraverso immagini suggestive e non sensazionalistiche, riflettendo anche sull’impatto dell’intelligenza artificiale nella fotografia contemporanea. - Unita.tv
Nella tumultuosa realtà ucraina, il fotografo francese hugo weber offre uno sguardo intenso che oscilla tra distruzione e resistenza. Senza mostrare direttamente gli orrori della guerra, le sue immagini catturano storie di vita, attesa e speranza, disegnando un ritratto profondo di chi vive tra le macerie di un conflitto che si protrae. Al festival weworld, weber condivide il suo lavoro documentario e riflette sui cambiamenti nel campo della fotografia in un’epoca dominata dall’intelligenza artificiale.
L’approccio fotografico che racconta senza mostrare la guerra
hugo weber fonda il suo racconto sulla suggestione piuttosto che sulla rappresentazione diretta della violenza. Seguendo un principio espresso dal fotoreporter alex majoli, secondo cui parlare di un tema senza mostrarlo è la vera sfida dell’immagine, weber crea fotografie che custodiscono la complessità della guerra senza esporla frontalmente. Questa scelta stimola l’osservatore a cogliere le contraddizioni di un ambiente segnato dalla distruzione ma anche da segni di vita.
Il suo lavoro differisce dalle immagini tipiche dei conflitti, evitando il sensazionalismo per puntare su dettagli e momenti di vita quotidiana. In particolare, attraverso il progetto “kharkiv – among the ruins” mostra come la popolazione locale mantenga la propria identità nonostante i danni subiti. La sua attenzione agli aspetti umani e sociali restituisce una fotografia che si spinge oltre il mero documentario, trasformandosi in un racconto che coinvolge emotivamente e fa riflettere.
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Un percorso che nasce dalla passione per l’analogico e il desiderio di raccontare
La storia di hugo weber con la fotografia parte da lontano, in maniera quasi casuale. Nato da una madre fotografa, inizialmente non sembrava interessato al mezzo, soprattutto per via della transizione dal metodo analogico a quello digitale durante il suo percorso di studi a milano. Frequentando il liceo di grafica iss kandinsky, ebbe la possibilità di rimanere tra gli ultimi a imparare l’analogico, sperimentando con materiale e tecniche ormai in disuso, che gli lasciarono una traccia indelebile.
Questa esperienza iniziale ha segnato la sua visione, spingendolo a guardare oltre la semplicità digitale e a cercare la profondità che l’analogico garantiva. A partire dal 2019 ha fatto della fotografia la sua professione a tempo pieno, combinando la produzione e la curatela con allestimenti per istituzioni internazionali. La fotografia non è per lui un fine ma uno strumento di narrazione. Nel tempo, weber ha ampliato i suoi interessi anche verso la restituzione dei progetti tramite mostra o libro, e gli ambiti del video e delle installazioni.
Il progetto “gli angeli di nazareth” e la vita negli sfollati interni ucraini
Da gennaio 2024 hugo weber ha scelto di vivere in ucraina per seguire più da vicino la realtà del conflitto. Il progetto “gli angeli di nazareth” si concentra sugli sfollati interni, cioè persone che hanno perso la loro casa a causa della guerra ma sono rimaste nel paese. Questo lavoro documentario vuole evidenziare come, nonostante le rovine del passato sovietico, emerga una nuova identità fatta di resilienza e speranza.
Le immagini catturano volti, gesti e spazi segnati dal trauma e dall’attesa; raccontano di una popolazione che cerca di ricostruirsi pur nelle difficoltà più grandi. Il finanziamento parziale proveniente dal ministero culturale italiano mostra la rilevanza internazionale riconosciuta al tema. I luoghi scelti per la narrazione diventano scenario di una vita sospesa, dove ogni dettaglio comunica molto più delle parole.
La fotografia tra racconto e intelligenza artificiale: uno sguardo critico e aperto
Nel contesto attuale della fotografia, hugo weber offre un punto di vista poco comune sul ruolo dell’intelligenza artificiale. Contrariamente al timore diffuso in molti ambienti creativi, lui associa questo fenomeno a una sfida stimolante. Ricorda le reazioni all’alba di internet e invita a considerare l’IA come un cambio di paradigma che può portare più consapevolezza nella creazione artistica.
Weber sottolinea come l’elemento curatorio potrà emergere di più e soprattutto come la pratica fotografica possa evolvere, valutando con più attenzione qualità e originalità rispetto alla semplice ricerca della notizia o dell’effetto choc. Per lui, la parte dello scatto rappresenta solo una frazione del lavoro di un autore. L’auspicio è che questa rivoluzione obblighi a riflettere meglio sui mezzi e sugli obiettivi, senza paura ma con uno sguardo critico e aperto.
Vivere in una comunità sfollata senza parlare la lingua: esperienze e difficoltà
Durante i primi mesi in ucraina, hugo weber ha vissuto in una comunità costruita su una vecchia base sovietica nucleare, in un’area molto isolata. Qui molti sfollati interni si sono rifugiati tra difficoltà e silenzi. Il fotografo non parlava ucraino né conosceva altre lingue comprese dal gruppo, creando un divario comunicativo piuttosto marcato.
Ha trascorso diversi mesi comunicando per immagini e con l’ausilio del traduttore digitale, vivendo un’esperienza fatta di intimità non verbale e rispetto per la riservatezza degli abitanti. Ha scoperto così quanto il silenzio e i gesti raccontino più di molte parole, offrendo nuove prospettive sulla relazione tra fotografo e soggetto. Questo rapporto non verbale ha permesso di restituire storie autentiche, annullando molte barriere culturali.
Un attimo di pericolo a kharkiv: un’esplosione vicina che segna il lavoro
Il momento più pericoloso vissuto da hugo weber è arrivato subito la mattina del suo arrivo a kharkiv: un missile intercontinentale è esploso a meno di 500 metri da dove si trovava. Racconta la sensazione straniante provocata dal rumore improvviso e dalla paura, ma anche dall’odore persistente della polvere da sparo che ha invaso le strade per ore.
Questo episodio ha segnato profondamente la sua esperienza sul campo, confermando la precarietà e la drammaticità del contesto in cui opera. La vicinanza con la guerra vera ha rafforzato la sua volontà di raccontare con delicatezza e rispetto i destini delle persone coinvolte, lontano da spettacolarizzazioni o esibizioni di violenza.
Un’immagine-simbolo che unisce pace e conflitto in una metafora visiva
Tra le fotografie più evocative di hugo weber c’è una statua dedicata alla cristianità, avvolta dalla neve e scattata con un flash. Sebbene in apparenza non legata al conflitto, rappresenta una metafora potente. L’angelo della statua simboleggia la protezione e la speranza, mentre i fiocchi di neve, simili a bombe bianche, richiamano la presenza costante del pericolo.
Questa immagine riesce a condensare una doppia realtà: la fragilità e la forza, la guerra e la pace che si intrecciano in un territorio martoriato. Racchiude il senso profondo del suo lavoro, dove un dettaglio apparentemente semplice si carica di significati più ampi legati alla resistenza e alla vita che continua nonostante tutto.