Il negoziante di torino rimuove il cartello anti israeliani dopo le polemiche e conferma la solidarietà per la pace
Un cartello in ebraico contro gli israeliani sionisti ha scatenato polemiche a Torino, portando il titolare del negozio a rimuoverlo e chiarire la sua posizione pacifista.

A Torino, un negozio di via Statuto ha suscitato polemiche per un cartello in ebraico con una frase contro gli israeliani sionisti, poi rimosso dal titolare che ha chiarito la sua posizione pacifista e contro ogni forma di odio. - Unita.tv
In un negozio di via Statuto a Torino è scoppiata una polemica dopo la comparsa di un cartello con una scritta in ebraico che dichiarava “gli israeliani sionisti non sono benvenuti qui”. L’iniziativa ha attirato l’attenzione dai media e suscitato critiche, spingendo il titolare a togliere il cartello e ribadire la sua posizione contro la guerra e la violenza. La vicenda si inserisce in un clima di tensioni internazionali, richiamando temi delicati legati ai conflitti in Medio Oriente e in Ucraina.
L’affissione del cartello e la reazione pubblica a torino
Il titolare della merceria in via Statuto ha posizionato fuori dal suo negozio un cartello con una scritta in ebraico che ha scatenato un’ondata di polemiche. La frase “gli israeliani sionisti non sono benvenuti qui” ha sollevato accuse di antisemitismo e razzismo, nonché reazioni da parte di cittadinanza e media. L’uomo, che inizialmente è apparso reticente a rilasciare dichiarazioni, ha poi spiegato il senso del messaggio, dissociandosi da qualsiasi forma di odio religioso o razziale.
La scritta era stata interpretata da molti come un attacco rivolto non solo a uno specifico gruppo politico, ma direttamente alla comunità ebraica. Questo ha alimentato tensioni e critiche sulla modalità con cui si esprimeva il dissenso verso le azioni dello stato Israeliano. Il cartello è rimasto al centro del dibattito per alcune ore, evidenziando quanto sia sottile il confine tra critica politica e discriminazione etnica.
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Le spiegazioni del titolare durante il confronto con i media
Dopo alcune ore, il negoziante ha deciso di rimuovere il cartello in ebraico, lasciando solo un messaggio per la pace che recita “Stop the War”. In un colloquio con l’ANSA, ha ribadito che la sua posizione non è mai stata animata da odio verso gli ebrei o da sentimenti razzisti. Ha precisato che il cartello era stato inteso come una protesta contro i massacri e la violenza, non un’offesa a una comunità religiosa o a un intero popolo.
L’uomo ha sottolineato di essere rattristato e arrabbiato per la cattiva interpretazione della sua iniziativa. Ha spiegato di non voler alimentare divisioni ma di opporsi a qualsiasi forma di violenza, citando “la pace” come obbiettivo centrale, richiamando anche le parole pronunciate dal Papa al suo insediamento. Il negoziante ha poi evidenziato che le sue posizioni si estendono anche alle sofferenze causate dai conflitti in Ucraina, non limitandosi al solo Medio Oriente.
La solidarietà espressa verso il popolo palestinese e i rapporti personali
Nel corso dell’intervista, il titolare ha voluto chiarire che non esiste alcun sentimento ostile verso gli ebrei in generale. Ha raccontato di avere amici, conoscenti e clienti di fede ebraica, e ha detto che diverse persone hanno espresso apprezzamento per la sua solidarietà verso il popolo Palestinese. La critica rivolta ai fatti è stata definita come un riferimento al massacro di civili in corso, senza negare il diritto di ogni popolo a una propria nazione.
Il negoziante ha affermato che la creazione di uno stato per ogni popolo “doveva essere fatta tempo fa”, evitando di entrare in dettagli politici e limitandosi a condannare gli atti di violenza che stanno colpendo civili innocenti. La sua posizione si è mantenuta su un piano umano e pacifista, evidenziando il desiderio di vedere cessare le guerre senza schierarsi in modo radicale o discriminatorio.
Riflessioni sulla comunicazione e gli effetti locali
L’intera vicenda dimostra come temi complessi e sensibili possano innescare reazioni forti anche a livello locale, e come sia fondamentale prestare attenzione alle parole usate nel protestare contro situazioni di conflitto. Il caso di Torino rimane un esempio di come la comunicazione pubblica possa generare fraintendimenti che richiedono chiarimenti e interventi per riportare il dialogo su binari di rispetto e comprensione.