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Giovane denuncia violenza dopo provino: processo annullato e nuovo giudizio in appello

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Denuncia di violenza dopo un provino, processo rinviato in appello. - Unita.tv
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Una ragazza romana, che si era rivolta a un fotografo fiorentino rispondendo a un annuncio su Instagram, ha denunciato una violenza avvenuta durante un presunto provino. Dopo l’assoluzione in primo grado, la procura ha ottenuto il rinvio del processo in appello, ritenendo che alcuni dettagli della testimonianza meritino una valutazione più attenta.

La denuncia e i fatti del presunto abuso durante il casting a Roma

Nel novembre di due anni fa, una giovane studentessa universitaria romana ha risposto a un annuncio pubblicato su Instagram da un fotografo di 64 anni con agenzia attiva tra Firenze e Roma. Quella che sembrava un’occasione per iniziare a costruire la sua carriera nel mondo della moda si è presto trasformata in un episodio drammatico secondo quanto raccontato dalla ragazza.

Secondo la denuncia, il fotografo avrebbe approfittato del rapporto professionale per costringerla a subire atti sessuali nel suo studio romano, trasformando il provino in un incubo. L’uomo era stato arrestato a giugno dell’anno scorso con l’accusa di violenza sessuale aggravata. L’arresto aveva destato grande attenzione, viste la notorietà e la posizione del fotografo nell’ambito del casting.

Il caso si è concentrato su quanto accaduto in quello studio e sulla dinamica dell’incontro tra la vittima e l’imputato. Il primo grado sembrava avere già dato un giudizio chiaro, ma la verità investigativa è rimasta controversa e oggetto di contestazione.

Assoluzione in primo grado e critiche per l’interpretazione della testimonianza

Il processo si è svolto con rito abbreviato, che generalmente accelera i tempi giudiziari e concentra la valutazione su elementi già acquisiti. Il pubblico ministero aveva chiesto l’assoluzione e il giudice ha accolto la richiesta motivando la sentenza con la formula “perché il fatto non sussiste”. Questa decisione ha suscitato malcontento tra la giovane accusatrice e le sue legali che hanno parlato di una lettura superficiale della testimonianza.

Uno dei passaggi centrali del processo è stato l’uso di una frase riportata dalla vittima nel corso delle sue dichiarazioni: “Mi ha scopato”. Il giudice ha considerato quelle parole come indice di un atto consensuale e non imposto, evidenziando un’apparente mancanza di consenso esplicito alla violenza. Questa interpretazione ha però suscitato perplessità nel pubblico ministero e nelle avvocate della ragazza.

A loro avviso, quella frase rappresenta una manifestazione di passività e subìto, non un coinvolgimento volontario. La differenza tra “mi ha” e “abbiamo” viene letta come una distinzione netta nella dinamica dell’aggressione. Il delicato approfondimento delle parole è diventato la chiave per una nuova lettura dei fatti, che ha guidato il ricorso presentato all’Appello.

La decisione della Corte D’Appello e cosa cambia per il processo

Pochi mesi fa, la Corte d’Appello ha disposto la riapertura del processo, annullando la sentenza di primo grado. Il pubblico ministero Alessandro Lia ha accolto le ragioni del ricorso, sostenendo che dentro la testimonianza del racconto si nasconde una realtà diversa da quella emersa inizialmente.

Le motivazioni addotte fanno leva sul fatto che la parola usata dalla vittima nasconda un rapporto subito e un coinvolgimento forzato anziché un atto di condivisione. Il nuovo giudizio dovrà valutare con maggiore attenzione la natura della relazione tra i due e la possibile pressione esercitata.

La difesa della giovane ha espresso fiducia nel giudizio dell’Appello, richiamando la gravità dei fatti e la necessità di uno sguardo più attento per tutte le giovani donne che si avvicinano al mondo della moda. Il caso diventa così un punto di riferimento per la tutela e la sensibilità verso segnali troppo spesso ignorati o mal interpretati.

L’importanza di un’analisi attenta del linguaggio in tribunale

Il caso mette in evidenza come un’unica frase possa cambiare il destino di una vicenda giudiziaria. La parola “Mi ha scopato” è stata oggetto di riflessione e confronto fra le parti, con un’attenzione particolare alle sfumature linguistiche più che alle prove esterne.

L’interpretazione del linguaggio, in situazioni di abuso sessuale, richiede una sensibilità particolare e una comprensione profonda del contesto in cui le parole vengono pronunciate. Non si tratta solo di cercare un chiarimento grammaticale ma di leggere dentro il dolore, il senso di minaccia e la natura del rapporto.

Il nuovo processo dovrà quindi uscire da una lettura puramente letterale per affrontare la complessità di situazioni difficili da ricostruire e spiegare, anche perché i segnali scarseggiano e spesso si perdono dietro formalismi e pregiudizi.

In questo senso, le vicende vissute da questa giovane ragazza romana rappresentano una sfida per la giustizia e per il modo in cui la società affronta le denunce di violenza, soprattutto in un ambito vulnerabile come quello della moda. Le prossime udienze saranno cruciali per arricchire il quadro e far emergere tutte le dinamiche nascoste dietro le poche parole pronunciate in aula.

Ultimo aggiornamento il 24 Luglio 2025 da Andrea Ricci

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Andrea Ricci

Andrea Ricci non cerca l’ultima notizia: cerca il senso. Blogger e osservatore instancabile, attraversa cronaca, politica, spettacolo, attualità, cultura e salute con uno stile essenziale, quasi ruvido. I suoi testi non addolciscono la realtà, la mettono a fuoco. Scrive per chi vuole capire senza filtri, per chi preferisce le domande alle risposte facili.

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