Il crollo del ponte Morandi a Genova, avvenuto il 14 agosto 2018 e costato la vita a 43 persone, ha scatenato un lungo processo giudiziario. Al centro delle indagini c’è la gestione dell’infrastruttura e le responsabilità legate alla sorveglianza e manutenzione. Il pubblico ministero Marco Airoldi ha sottolineato come chi aveva in carico il ponte avrebbe dovuto agire con attenzione, senza fermarsi a pregiudizi o false certezze.
Gli allarmi lanciati fin dagli anni ’70 da ingegneri esperti
Già nel 1975 l’ingegnere Zanetti aveva segnalato problemi strutturali al ponte Morandi. Lo descrisse come “non sano come un pesce”, esprimendo preoccupazioni sulla tenuta dell’opera. Questi primi segnali di degrado non furono trascurabili: indicavano che il viadotto necessitava di controlli approfonditi per evitare rischi futuri.
Nel 1981 lo stesso Riccardo Morandi, progettista del ponte, constatò che in meno di dieci anni dall’inaugurazione erano emersi segni diffusi di deterioramento. Nella sua relazione evidenziò problemi estesi sull’intera struttura e raccomandò una serie di interventi specifici per monitorare lo stato dei materiali più critici.
Interventi tecnici richiesti
Morandi richiese controlli mirati sui cavi portanti attraverso tecniche diagnostiche avanzate per l’epoca, come i raggi X. Questa indicazione era fondamentale perché puntava direttamente alle parti più vulnerabili della costruzione.
Le mancate azioni preventive tra bias cognitivi e sottovalutazioni
Nonostante gli avvertimenti chiari degli esperti, secondo il pm Airoldi la gestione successiva al progetto originario si è basata su una convinzione errata: quella che “i ponti non crollano”. Questo bias cognitivo ha bloccato ogni iniziativa concreta volta alla sorveglianza accurata dei punti critici.
Le attività di controllo sono state quasi nulle negli anni precedenti al disastro; molte delle raccomandazioni lasciate da Morandi sono rimaste lettera morta o accantonate senza spiegazioni valide.
Le difese degli imputati hanno sostenuto che l’incidente fosse imprevedibile ma le prove raccolte dimostrano invece che esistevano avvisaglie evidenti da tempo sullo stato precario della struttura. Il mancato intervento ha così contribuito direttamente alla tragedia consumatasi nel cuore della città ligure.
Sottovalutazioni e conseguenze
“Fermarsi al pre-giudizio equivaleva ad abbandonare pazienti in condizioni critiche senza cure adeguate,” ha sottolineato il pm Airoldi.
Responsabilità legali nel processo contro i gestori del ponte morandi
Il procedimento penale coinvolge ben 57 imputati tra ex dirigenti ed enti responsabili della manutenzione dell’opera pubblica strategica per Genova e tutta Italia. L’accusa punta proprio sul fatto che questi soggetti avevano il dovere professionale di effettuare verifiche rigorose sulle condizioni del viadotto evitando qualsiasi tipo d’approssimazione o superficialità.
L’immagine usata dal pm Airoldi paragona chi gestiva il ponte a un medico chiamato a diagnosticare uno stato grave ma incapace o non volenteroso nell’eseguire tutti gli accertamenti necessari per salvare vite umane.
Gli atti processuali mettono in luce omissioni gravi nella pianificazione degli interventi preventivi soprattutto riguardo ai sistemi portanti principali individuati già negli anni ’80 come fonte primaria dei rischi strutturali più elevati.