Il tema del fine vita continua a suscitare dibattiti intensi in Italia, con diverse posizioni riguardo al suicidio assistito e all’eutanasia. A fare il punto è stato Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia, che ha sottolineato l’importanza di affrontare la questione con equilibrio e senza farsi condizionare esclusivamente da singoli casi emotivamente forti. La vicenda di Martina Oppelli, una donna triestina malata di sclerosi multipla che ha ottenuto il suicidio assistito in Svizzera dopo il terzo diniego da parte dell’azienda sanitaria locale, rappresenta un episodio emblematico che riaccende il confronto pubblico.
La posizione di fedriga sui limiti delle normative basate su casi particolari
Il presidente Fedriga ha dichiarato che il Parlamento deve avere la libertà di scegliere quale indirizzo dare alla legislazione sul fine vita, ponendo però attenzione a evitare scelte influenzate solo da singoli episodi toccanti. Ha evidenziato che l’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina ha applicato con attenzione la sentenza della Corte costituzionale, dimostrando il rispetto delle norme esistenti. Tuttavia, Fedriga ha precisato che le leggi non possono fondarsi esclusivamente su casi particolari, anche se drammatici, ma devono avere una portata generale comprensiva e ponderata.
La sua posizione richiama alla necessità di “usare la razionalità” nel dibattito, per evitare che decisioni di grande impatto sociale siano guidate dall’emotività del momento o dalla pressione dell’opinione pubblica. Per Fedriga è fondamentale che le regole sviluppate su questo tema valgano per tutti e siano studiate per tutte le situazioni potenziali, non solo per quelle che commuovono maggiormente.
Riflessioni sugli effetti delle normative estere sul suicidio assistito e l’eutanasia
Fedriga ha portato esempi di altri Paesi dove la legislazione sul suicidio assistito o l’eutanasia ha subito un’evoluzione che in alcuni casi è andata “a degenerare”. Secondo lui, abbassare i limiti e l’argine normativo può aprire la strada a richieste più larghe e a situazioni meno comprese, allontanandosi dall’originaria intenzione di tutela di persone con patologie gravi. Giovani o adulti con depressione, ha evidenziato, in certi contesti sono riusciti a ottenere accesso al suicidio assistito. Ciò rappresenta un rischio significativo per l’applicazione delle leggi, se non viene mantenuto un controllo rigoroso e una chiara distinzione dei casi.
La posizione di Fedriga mette in guardia contro una liberalizzazione eccessiva, che potrebbe invece di aiutare complicare le cose, aprendo spazi per decisioni affrettate o non pienamente meditate. Il timore è che norme troppo larghe, nate per dare dignità e sollievo in situazioni estreme, vengano poi utilizzate anche dove la sofferenza ha cause meno evidenti o ha possibilità di trattamento alternative.
L’appello alla razionalità nel dibattito pubblico e legislativo sul fine vita
La conclusione di Fedriga verte sul richiamo al buon senso e alla lucidità nel trattare una materia così delicata. L’eventuale normativa sul suicidio assistito o l’eutanasia deve avere basi solide e ampie, capaci di durare nel tempo e adattarsi a un quadro più esteso di casi possibili. Le emozioni legate a casi come quello di Martina Oppelli sono comprensibili ma non possono sostituire una riflessione seria e approfondita.
Il rischio è quello di creare leggi che, una volta varate, si dimostrano insufficienti o troppo estese, con conseguenze difficili da gestire. Fedriga invita quindi a misurare con attenzione ogni parola, senza lasciarsi trasportare da impulsi emotivi o pressioni sociali, perché le norme sul fine vita condizionano la vita di tutti e non solo quella dei casi più eclatanti. Il dibattito sul tema resta aperto, con la responsabilità del Parlamento di orientare il Paese in modo chiaro e coerente.
Ultimo aggiornamento il 1 Agosto 2025 da Serena Fontana