L’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, è stato ascoltato dai pm della procura di Caltanissetta nell’ambito dell’inchiesta che lo vede indagato per favoreggiamento alla mafia. L’interrogatorio è durato diverse ore ed è avvenuto a pochi mesi dall’iscrizione nel registro degli indagati. L’accusa riguarda presunti tentativi di insabbiare un’indagine sulle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, con particolare riferimento alle cave in Toscana.
Il ruolo di giuseppe pignatone nell’indagine su mafia e appalti
Giuseppe Pignatone, noto per essere stato procuratore a Roma e presidente del tribunale Vaticano, è finito sotto inchiesta insieme ad altri ex magistrati e ufficiali delle forze dell’ordine. Secondo l’accusa dei pm Salvo De Luca, Davide Spina e Claudia Pasciuti della procura nissena, Pignatone avrebbe avuto un ruolo centrale nel limitare la portata delle investigazioni sulle infiltrazioni mafiose nelle gare d’appalto legate alle cave toscane.
Indagini limitate e ridotte intercettazioni
In particolare si contesta che abbia istigato l’ex pm Gioacchino Natoli e il generale della Guardia di finanza Stefano Screpanti a condurre un’indagine solo apparente. Le intercettazioni sarebbero state ridotte sia nella durata sia nel numero dei soggetti monitorati. Questo avrebbe impedito una ricostruzione completa delle attività criminali dietro gli appalti pubblici.
La strategia contestata prevedeva anche la richiesta da parte di Natoli – su indicazione dello stesso Pignatone – dell’archiviazione del procedimento senza approfondire ulteriormente le prove raccolte o ampliare le intercettazioni telefoniche. Il fine sarebbe stato quello di favorire imprenditori ritenuti vicini alla mafia come Antonino Buscemi e Francesco Bonura evitando così accertamenti più stringenti.
Accuse specifiche sull’occultamento delle prove
Uno degli aspetti più gravi emersi dall’inchiesta riguarda il tentativo di cancellare tracce fondamentali emerse dalle intercettazioni telefoniche. I pm accusano Pignatone anche di aver ordinato a Natoli la smagnetizzazione delle bobine registrate durante le indagini oltre alla distruzione dei brogliacci contenenti i dettagli degli ascolti.
Tuttavia dalle verifiche successive risulta che né le bobine né i brogliacci sono stati effettivamente distrutti ma ritrovati dagli investigatori. All’epoca quella procedura era comunque una prassi comune nei casi ritenuti poco rilevanti dagli stessi uffici giudiziari coinvolti nelle indagini preliminari.
Nuovo impulso all’inchiesta sulla mafia e appalti toscani
Questi elementi hanno riaperto il dibattito sul reale svolgimento dell’inchiesta originaria sulla mafia negli appalti toscani: secondo gli inquirenti ci sarebbe stata una volontà precisa volta a ostacolare l’approfondimento sui legami tra clan mafiosi e imprenditori locali coinvolti nei lavori pubblici.
Rilancio dell’indagine dopo anni dal dossier iniziale
Il fascicolo sulla cosiddetta “mafia-appalti” era già stato archiviato tempo fa senza esiti concreti ma ora ha ripreso slancio proprio grazie agli sviluppi riguardanti gli ex protagonisti del caso come Pignatone, Natoli e Screpanti.
I magistrati della procura di Caltanissetta stanno valutando se questo procedimento potesse avere un collegamento diretto con uno degli episodi più tragici della storia recente italiana: la strage via D’Amelio dove perse la vita il giudice Paolo Borsellino nel 1992.
Legame ipotizzato con la strage via d’amelio
Secondo alcune ricostruzioni sostenute dalla famiglia Borsellino quel processo sulle infiltrazioni mafiose negli appalti potrebbe essere stata la causa scatenante dell’attentato mortale al magistrato palermitano. L’ipotesi suggerisce che Borsellino fosse stato ucciso proprio perché stava cercando evidenze importanti da portare avanti nella lotta contro Cosa nostra nei grandi lavori pubblici italiani.
Gli sviluppi processuali attuali puntano quindi ad accertare se vi siano state interferenze esterne o interne volte a insabbiare quell’inchiesta cruciale rimasta fino ad oggi avvolta da molte ombre.