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Ergastolo per il clan Licciardi nell’omicidio di Salvatore Esposito detto Totoriello, ucciso e sciolto nell’acido

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L’omicidio di Salvatore Esposito, noto come Totoriello, torna alla luce dopo anni grazie a un’indagine che ha portato alla condanna dei responsabili legati al clan Licciardi. Il delitto risale al 2013 e si lega a motivi personali intrecciati con le dinamiche criminali della malavita napoletana. Le forze dell’ordine hanno ricostruito i dettagli attraverso intercettazioni e arresti mirati.

La sentenza del giudice valentina giovanniello: ergastolo per abbatiello e leva, otto anni per prota

Il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Valentina Giovanniello, ha emesso una sentenza pesante al termine di un processo con rito abbreviato. Paolo Abbatiello e Gianfranco Leva sono stati condannati all’ergastolo come mandanti dell’omicidio di Salvatore Esposito. Raffaele Prota ha ricevuto una pena a otto anni di reclusione in relazione allo stesso caso.

Questa decisione segna un punto fermo nella lotta contro il clan Licciardi che da tempo domina parte della scena criminale napoletana. La sentenza riconosce la responsabilità diretta dei condannati nel pianificare ed eseguire l’uccisione violenta del ragazzo soprannominato Totoriello.

La scelta del rito abbreviato ha permesso una rapida conclusione delle indagini processuali ma senza ridurre la severità della punizione inflitta ai colpevoli. L’accusa aveva raccolto prove solide grazie alle attività investigative coordinate dal Ros dei Carabinieri insieme al comando provinciale partenopeo.

L’assassinio motivato da gelosia: la relazione proibita con la moglie di giovanni licciardi

Salvatore Esposito venne ucciso perché intratteneva una relazione sentimentale con la moglie di Giovanni Licciardi, figlio del boss Gennaro detto “la scimmia”. Questo legame amoroso scatenò quello che è stato definito un vero “delitto d’onore” all’interno delle fila malavitose.

Giovanni Licciardi appartiene a una famiglia che guida il clan omonimo protagonista dell’Alleanza di Secondigliano, uno degli assetti criminali più radicati in città. La presenza della gelosia tra i motivi principali spiega anche l’efferatezza con cui è stato portato avanti l’agguato contro Totoriello.

La vittima non era solo coinvolta sentimentalmente ma rappresentava anche un elemento scomodo all’interno degli equilibri interni al gruppo mafioso. L’eliminazione definitiva doveva cancellare ogni traccia sia fisica sia simbolica della sua presenza nella vita privata del figlio del boss.

Le indagini ros: intercettazioni rivelatrici svelano il cold case dopo dieci anni

Il caso rimase irrisolto fino a quando i carabinieri del Ros insieme al comando provinciale non notarono durante altre indagini alcune conversazioni sospette che facevano riferimento alla fine tragica di Esposito. Queste intercettazioni hanno permesso agli investigatori di riaprire quel cold case datato 27 settembre 2013.

Le parole captate nelle telefonate o negli incontri registravano dettagli nascosti sulla sparizione improvvisa e misteriosa della vittima così da orientare gli accertamenti verso nuove piste investigative nel tessuto criminale locale.

Nel maggio 2023 tre membri chiave considerati mandanti furono arrestati su ordine delle autorità giudiziarie partenopee proprio in seguito alle risultanze emerse dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali raccolte dal Ros durante mesi d’indagine approfondita sul clan Licciardi.

Modalità dell’agguato: trappola mortale nelle cave tufo chiaiano e distruzione del corpo nell’acido

Per attirare Salvatore Esposito nella trappola mortale fu simulata una visita improvvisata presso Maria Licciardi, sorella dello storico capo Gennaro “la scimmia”. In realtà lo scopo era deviare il percorso verso una zona isolata nel quartiere Chiaiano nota per le sue cave tufacee difficili da raggiungere o frequentare liberamente senza destare sospetti tra gli abitanti locali o forze dell’ordine impegnate nei controlli urbani quotidiani.

Lì avvenne l’esecuzione sommaria: Totoriello fu freddamente ucciso mediante colpi d’arma da fuoco sparati dai killer incaricati dall’organizzazione mafiosa stessa per poi far sparire ogni prova materiale legando il corpo ad un destino atroce – venne sciolto in acido dentro bidoni fatti bollire tramite bruciatori appositi – pratica usata spesso dalla camorra per cancellare tracce biologiche ed evitare identificazioni immediate durante i primi momenti successivi all’agguato brutale.

Questo tipo d’esecuzione conferma quanto fossero determinanti tanto gli aspetti punitivi quanto quelli pratici nel mantenere intatta quella rete omertosa capace ancora oggi, dopo oltre dieci anni, di nascondere certi crimini dietro muri impenetrabili.

Written by
Andrea Ricci

Andrea Ricci non cerca l’ultima notizia: cerca il senso. Blogger e osservatore instancabile, attraversa cronaca, politica, spettacolo, attualità, cultura e salute con uno stile essenziale, quasi ruvido. I suoi testi non addolciscono la realtà, la mettono a fuoco. Scrive per chi vuole capire senza filtri, per chi preferisce le domande alle risposte facili.

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