Scopriamo insieme perché la tecnica dell’emodiluizione normovolemica acuta* , usata durante gli interventi di bypass cardiopolmonare, non riduce le trasfusioni né migliora i rischi di complicanze.*
L’emodiluizione normovolemica acuta, o Anh, è una procedura che consiste nel prelevare parte del sangue del paziente prima di un intervento di Cardiochirurgia con bypass cardiopolmonare. Quel sangue viene sostituito con soluzioni liquide per mantenere il volume sanguigno costante, ma con meno globuli rossi circolanti.
L’obiettivo? Ridurre la perdita effettiva di globuli rossi durante l’operazione e quindi diminuire la necessità di trasfusioni post-operatorie. Ma secondo un nuovo studio clinico coordinato dall’IRCCS Ospedale San Raffaele, questa tecnica non sembra funzionare come sperato.
Lo studio più grande mai fatto sull’anh: 2.010 pazienti da 11 Paesi
Il Trial Clinico ha coinvolto ben 2.010 pazienti provenienti da 32 centri in 11 diversi Paesi. È il più ampio mai realizzato su questo tema e i risultati sono stati presentati a Belfast durante una conferenza scientifica internazionale dedicata agli studi perioperatori e di terapia intensiva.
Contrariamente a studi precedenti, più piccoli e meno definitivi, questa ricerca ha dimostrato che l’Anh non riduce in modo significativo la necessità di trasfusioni nei pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca con bypass.
Nessun impatto significativo su complicanze emorragiche o ischemiche
Oltre alla mancanza di riduzione delle trasfusioni, lo studio ha anche valutato se l’Anh potesse influenzare il rischio di complicanze emorragiche o ischemiche .
Anche qui i risultati sono chiari: non ci sono differenze significative tra chi ha ricevuto l’emodiluizione normovolemica e chi no. Questo significa che la tecnica non migliora né peggiora questi rischi importanti per i pazienti.
Le parole del professor zangrillo: un invito a ripensare le strategie attuali
Il professor Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale Dell’Ospedale San Raffaele e ordinario all’Università Vita-Salute San Raffaele, ha commentato così i risultati:
“Questo lavoro dimostra la capacità del nostro istituto di condurre studi clinici di elevata qualità che possono influenzare la pratica medica a livello internazionale.”
Ha aggiunto che questi dati spingono a riconsiderare criticamente le strategie attuali nella gestione dei pazienti in cardiochirurgia:
“Dobbiamo concentrarci su approcci che abbiano dimostrato una reale efficacia nel migliorare gli esiti per i nostri pazienti.”
Cosa cambia per il futuro della cardiochirurgia?
Questa ricerca segna un punto importante nella pratica clinica perché mette in discussione una procedura adottata da anni con l’obiettivo di ridurre le trasfusioni.
I medici ora dovranno valutare altre strategie più efficaci per gestire il sangue durante gli interventi complessi come quelli con bypass cardiopolmonare.
Inoltre lo studio sottolinea quanto sia importante basarsi su dati solidi e ampi prima di diffondere tecniche mediche su larga scala.
Un passo avanti grazie alla collaborazione internazionale
La forza dello studio sta anche nella sua dimensione globale: Coinvolgere 32 centri in 11 Paesi ha permesso ai ricercatori italiani dell’Ospedale San Raffaele di raccogliere dati robusti e rappresentativi.
Questo tipo di collaborazioni internazionali è fondamentale per fare passi avanti nella medicina moderna, soprattutto quando si tratta della sicurezza dei pazienti sottoposti a interventi delicati come quelli cardiaci.
Con questo risultato arriva quindi un invito chiaro alla comunità scientifica: continuare a cercare soluzioni innovative ma sempre supportate da prove concrete. Solo così si potrà davvero migliorare la qualità delle cure offerte ai pazienti in tutto il mondo.