Il caso di Alessandro Impagnatiello, condannato per l’omicidio della compagna incinta Giulia Tramontano, torna al centro dell’attenzione dopo la decisione della Corte d’assise d’appello di Milano. La Corte ha rigettato la richiesta di ammissione alla giustizia riparativa avanzata dalla difesa del 32enne barman, confermando così l’ergastolo già stabilito in primo grado. La vicenda ha scosso profondamente l’opinione pubblica e il rifiuto dell’istanza si basa su una valutazione critica delle motivazioni e del percorso personale dell’imputato.
Motivi del rigetto della richiesta di giustizia riparativa
La Corte d’assise d’appello ha respinto la domanda presentata da Impagnatiello principalmente perché non è stata dimostrata una reale consapevolezza del gesto commesso né un’effettiva volontà di revisione critica degli impulsi che hanno portato all’uccisione della compagna incinta. Il giudizio si fonda sulla mancanza di un processo interiore autentico da parte dell’imputato, che avrebbe dovuto mostrare autocensura e capacità di riconciliazione con le parti lese.
L’istituto della giustizia riparativa prevede infatti non solo il coinvolgimento diretto delle persone offese – in questo caso i familiari di Giulia Tramontano che hanno espresso un rifiuto netto alla partecipazione – ma anche una responsabilizzazione concreta da parte dell’autore del reato. La Corte ha evidenziato come questa responsabilità non sia emersa in modo convincente nel comportamento o nelle dichiarazioni rese durante il processo.
Criteri fondamentali per l’ammissione
Tre criteri fondamentali guidano l’ammissione a tale percorso: assenza di rischio per le parti coinvolte, tutela sull’accertamento dei fatti e utilità effettiva del procedimento stesso. Nessuno dei tre parametri è stato soddisfatto secondo i giudici milanesi. In particolare, sono stati valutati con attenzione i moventi che hanno spinto Impagnatiello a commettere il femminicidio e tentare poi la distruzione del corpo; tali elementi sono stati considerati indicatori chiave dello stato psicologico ancora problematico dell’imputato.
Analisi delle dichiarazioni rese dall’imputato durante il processo
Durante l’udienza davanti alla corte milanese, Alessandro Impagnatiello aveva cercato attraverso alcune dichiarazioni pubbliche dimostrare un cambiamento personale rispetto al periodo precedente al crimine. Aveva affermato infatti: “La persona che io ero in quel periodo…non era quella che sono adesso”, sottolineando come il processo gli stesse aiutando a ricomporre i pezzi confusi nella sua mente.
Nonostante queste parole abbiano potuto apparire come segnali positivi agli occhi esterni, le giudici Ivana Caputo e Franca Anelli le hanno considerate insufficienti per attestare una maturazione autentica o una presa piena coscienza delle conseguenze devastanti dei suoi atti. Le frasi pronunciate sono state interpretate più come tentativi formali per ottenere clemenza o empatia piuttosto che espressione sincera ed approfondita della sofferenza interiore necessaria ad avviare un percorso riparatore vero.
Questa lettura critica ha influito molto sulla decisione finale: senza prove concrete sul piano psicologico ed emotivo relative alla capacità riflessiva sull’accaduto e sulle sue implicazioni sociali profonde, non può essere concessa alcuna forma alternativa rispetto alla pena detentiva massima prevista dal codice penale nei casi più gravi.
Il ruolo della famiglia Tramontano
Un altro elemento decisivo nel rigetto riguarda proprio la posizione assunta dalla famiglia Tramontano. I parenti diretti si sono mostrati indisponibili a partecipare a qualsiasi tipo dialogo o incontro previsto dal programma riparativo. Questa scelta rappresenta uno degli ostacoli principali all’attivazione dello strumento previsto dalla legge perché senza consenso esplicito delle persone offese ogni ipotesi perde efficacia pratica oltreché valore simbolico.
Il rapporto tra imputato e familiari vittima resta quindi congelato su posizioni incompatibili con lo spirito conciliativo richiesto dalla giustizia restaurativa. Il progetto mira infatti proprio a ristabilire rapporti almeno parzialmente recuperabili, cosa evidentemente impossibile quando chi subisce direttamente il danno manifesta chiusura totale.
In questo contesto, anche gli sforzi legali volti ad evidenziare collaboratività nelle indagini o pentimento espresso dall’imputato risultano insufficienti ai fini legali. Questi aspetti vengono considerati marginali nell’ambito specifico dedicato all’ammissione ai programmi alternativi dove conta soprattutto lo stato emotivo reale raggiunto dall’autore del reato.
Possibili sviluppi futuri sulla richiesta di ammissione
La difesa guidata dall’avvocatessa Giulia Geradini potrebbe decidere comunque in futuro di presentare nuovamente istanza simile qualora emergessero nuovi elementi capaci di dimostrare cambiamenti significativi nell’attitudine di Impagnatiello verso quanto accaduto. Nel documento ufficiale depositato presso la Corte viene precisato chiaramente che è possibile riaprire il dibattito se mutassero i parametri utilizzati nella prima valutazione.
Al momento però nessun passo ulteriore è stato annunciato né indicazioni di evoluzioni imminenti nello scenario processuale. Resta fermo quindi il provvedimento cautelare adottato dai magistrati milanesi con conferma definitiva di ergastolo quale risposta penale adeguata alle gravissime circostanze emerse durante l’inchiesta ed i procedimenti successivi.
L’esclusione dal sistema di giustizia riparativa segna un punto fermo nell’intricata vicenda umana dietro alcuni degli episodi più tragici registrati negli ultimi anni sul territorio lombardo, lasciando aperta soltanto la strada tradizionale di punizione prevista dal diritto penale italiano contro tali crimini violenti contro le donne incinte.