Come le mafie usano i social network per diffondere la loro immagine e attrarre i giovani
Il rapporto “Le mafie nell’era digitale” analizza come le mafie utilizzano i social network per diffondere ideologie, attrarre giovani e costruire un’immagine di potere e lusso, sfidando la narrazione tradizionale.

L'articolo analizza come le mafie sfruttino i social network per diffondere la loro cultura e attrarre giovani, trasformando il web in una piattaforma di propaganda, e sottolinea l'importanza dell'antimafia digitale come strumento di contrasto. - Unita.tv
Il digitale ha rivoluzionato la comunicazione, aprendo nuovi spazi anche per le attività criminali. Oggi le mafie non si limitano più alle strade o ai metodi tradizionali come il pizzo o lo spaccio; usano i social network per propagare la loro cultura e attrarre giovani seguaci. La diffusione di queste ideologie passa attraverso video, selfie e messaggi che mostrano uno stile di vita fatto di potere e lusso, diventando modelli per nuove generazioni. Un fenomeno analizzato nel rapporto Le mafie nell’era digitale, presentato a Roma dall’università di Salerno, che mette in luce come la criminalità organizzata abbia saputo conquistare il web, trasformandolo in una vera piattaforma di propaganda.
La costruzione del mito mafioso sui social
Le piattaforme digitali permettono ai protagonisti della criminalità di autogestire la propria immagine, raccontandosi direttamente senza filtri. Questo ha creato una nuova categoria di “prosumers“, utenti che allo stesso tempo producono e consumano contenuti che veicolano mentalità e simboli mafiosi. Molti di questi non fanno formalmente parte delle organizzazioni criminali, ma condividono i valori e gli stili di vita che esse promuovono. Per questi individui si è coniato il termine “mafiofili“, giovani attratti da un modello che unisce guadagni facili, vita lussuosa e potere, spesso senza fare sacrifici tradizionali come lo studio o il lavoro onesto.
Questa narrazione mafiosa costruisce un racconto distorto della realtà, dove ogni gesto ha senso e giustificazione all’interno di un mondo ribaltato. I protagonisti dei social diventano personaggi di un “reality” in cui la violenza e l’illegalità sono normali e considerate valori. Rievocano un’identità fatta di fedeltà, “onore” e conquista sociale, convincendo seguaci e simpatizzanti che quel sistema alternativo sia la realtà da emulare. La diffusione di questi messaggi sui social modifica il quadro tradizionale in cui giornalisti o attivisti raccontavano la mafia, con i criminali che ora si autopromuovono e si mostrano al pubblico.
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Estetica e potere: i codici visivi della comunicazione mafiosa
Un elemento chiave della presenza mafiosa online è la costruzione di un’estetica riconoscibile. Attraverso marchi, pose nei selfie, abbigliamento e accessori, chi appartiene o si identifica con la mafia trasmette senza parole la propria appartenenza e lo status. Questo linguaggio visivo è una trasposizione digitale di una comunicazione che da sempre ha fatto parte della cultura camorrista e di altre organizzazioni. Questi simboli diventano come un “brand” che rafforza il legame tra chi li usa e il gruppo criminale.
I “mafiofili“, simili agli influencer, usano questi simboli per mostrare quanto sia potente e attrattiva l’organizzazione alla quale guardano. L’obiettivo non è vendere un prodotto, ma raccogliere consenso e adesioni al modello mafioso. I contenuti che a molti appaiono kitsch o banali ottengono invece molti like e commenti positivi, soprattutto quando si mescolano elementi della cultura popolare, dialetti locali e riferimenti religiosi. L’algoritmo delle piattaforme facilita questa normalizzazione, facendo scorrere contenuti mafiosi senza soluzione di continuità con video di calcio o politica, creando un effetto di familiarità e accettazione tra gli utenti.
Tra vittimizzazione e culto della famiglia mafiosa
I social non mostrano solo la dimensione del potere, ma anche quella della sofferenza e della fedeltà familiare legata ai clan. Video di scarcerazioni, arresti in diretta, visite alle persone ai domiciliari e simboli come emoji con significati interni ai gruppi criminali sono largamente condivisi. Questa narrazione rafforza l’idea delle “vittime innocenti“, una retorica che tenta di sottrarre alla condanna sociale i membri della mafia, presentandoli come persone semplicemente protette dal loro ambiente o ingiustamente perseguitate.
Il ricordo di vittime o giovani boss come Emanuele Sibillo resta vivo tra i più giovani non solo nei quartieri ma anche online, attraverso profili, hashtag o imitazioni del loro aspetto. Gli eredi delle famiglie mafiose cercano oltre a puntellare l’immagine dei padri come figure affettuose, di mantenere in piedi un sistema culturale patriarcale. Le donne, spesso senza precedenti penali, diventano custodi di questi valori, trasmettendoli ai figli maschi, nelle famiglie dove la presenza maschile è assente per detenzione o morte violenta.
L’antimafia digitale: sfida e strategie
Dietro ai contenuti mafiosi più duri, che mostrano combattimenti tra clan o messaggi in codice, esiste una barriera di contenuti più “mainstream” e accessibili destinati ai giovani affiliati o simpatizzanti. La maggior parte degli utenti comuni difficilmente fruirà di questi post più violenti, ma la loro presenza sui social è comunque diffusa. Il rapporto sottolinea che i mezzi digitali, pur in mano alle mafie, rappresentano l’unico strumento capace di contrastarle efficacemente.
Il successo online dipende dalle regole della visibilità: chi non le rispetta scompare. Per questo chi lotta contro la mafia deve usare le stesse piattaforme e i medesimi codici digitali, per proporre contenuti diversi e contrari a quelli criminali. La presenza attiva sui social è dunque fondamentale per non lasciare spazio alla propaganda mafiosa e per far emergere messaggi di legalità che possano raggiungere lo stesso pubblico. Questo fronte digitale diventa così una nuova linea di battaglia nella lotta alla criminalità organizzata.