La scarcerazione di esponenti del clan Moccia per scadenza dei termini di custodia cautelare ha riacceso l’attenzione sugli affanni della giustizia a Napoli. Il caso riguarda un maxi processo nato per decenni di attività criminali, ora al centro di controlli interni sui ritardi che hanno portato al rilascio di numerosi imputati. I vertici degli uffici giudiziari stanno valutando se i tempi e le procedure abbiano subito anomalie.
Prime avvisaglie di rischio nel 2023, tra udienze e rallentamenti
La situazione era stata segnalata sin dal marzo 2023 dalla procura di Napoli, guidata dagli allora pm Ivana Fulco e Ida Teresi. Nel documento ufficiale si segnalava il pericolo che tutti gli imputati coinvolti nel procedimento rischiassero la scarcerazione per decorrenza dei termini, visto che l’istruttoria era ormai da tempo ferma e diventava impossibile garantire una conclusione entro i limiti previsti dalla legge. Nel corso del 2023 e nella primavera del 2024 gli stessi magistrati hanno chiesto di organizzare un maggior numero di udienze, comprendendo anche aperture nei weekend, per accelerare il processo.
Queste richieste però non hanno trovato un’accoglienza concreta. Il collegio giudicante, infatti, si è trovato ad affrontare un carico di lavoro che somma più processi complessi, tra cui un altro maxi processo sulla camorra, bloccando di fatto ogni tentativo di smaltire la mole di casi ed evitare lungaggini e possibili scarcerazioni. In effetti, la situazione giudiziaria di Napoli è segnata da una densità elevata di casi legati alla criminalità organizzata, che sottrae risorse e tempo ai tribunali.
Tre anni di udienze senza verdetto e gli effetti delle scarcerazioni
Nel frattempo, il fascicolo principale ha comportato oltre 60 udienze in circa tre anni, senza che si arrivi a un verdetto di primo grado. Le scarcerazioni disposte dalla sesta sezione penale della Corte hanno riguardato 15 imputati rimessi in libertà da poco, ma con obblighi di misure alternative alla detenzione. Tra queste figurano il divieto di dimora nelle regioni di Campania e Lazio e il divieto di uscita nelle ore notturne, restrizioni volte a limitare le possibilità di ritorno alle attività criminali.
I tempi lunghi e la scarsità di risultati processuali hanno sollevato nuove preoccupazioni tra i magistrati, che ora ricostruiscono la storia del procedimento per identificare dove si siano verificati rallentamenti ingiustificati. Il quadro è particolarmente delicato perché tra le 48 persone coinvolte si contano i presunti vertici degli insediamenti criminali camorristici tra Napoli e Roma, figure di rilievo nel mondo della criminalità organizzata.
Le indagini della corte di appello e l’intervento del procuratore gratteri
In queste settimane la presidente della Corte di Appello, Maria Rosaria Covelli, insieme al procuratore distrettuale antimafia Nicola Gratteri, ha avviato una raccolta di documentazione e testimonianze per chiarire la gestione del maxi processo Moccia. L’obiettivo è mettere in luce eventuali discrepanze o ritardi non giustificati che hanno avuto ripercussioni sulla durata del procedimento e sulla custodia cautelare.
Gratteri stesso ha richiesto una dettagliata ricostruzione del fascicolo, valutando una linea d’azione forte per correggere eventuali condizioni che hanno favorito le scarcerazioni. È tra le ipotesi l’impugnazione di alcune decisioni tramite ricorso al Riesame o alla Corte di Cassazione. La situazione resta in evoluzione, ora monitorata da vicino data la rilevanza delle persone coinvolte e dell’operato della giustizia antimafia campana.
Le prossime settimane saranno decisive per capire se riusciranno a rinsaldare il controllo giudiziario su questo filone d’indagine, segnato sinora da ritardi e scarcerazioni che preoccupano i magistrati impegnati nella lotta contro la camorra sul territorio.
Ultimo aggiornamento il 8 Agosto 2025 da Matteo Bernardi