Il braccialetto elettronico rappresenta uno strumento fondamentale per il controllo dei detenuti sottoposti a misure cautelari o pene alternative alla detenzione tradizionale. In Italia, però, la sua disponibilità limitata e i ritardi nelle consegne provocano una permanenza prolungata in carcere di persone che avrebbero diritto a scontare la pena ai domiciliari. Questa situazione solleva dubbi sulla gestione delle risorse e sull’efficacia del sistema penale nel garantire i diritti dei detenuti.
Utilizzo del braccialetto elettronico nel sistema penale italiano
Il dispositivo elettronico viene imposto dal giudice principalmente in due casi: quando una persona si trova agli arresti domiciliari come misura cautelare, oppure se sta scontando una pena alternativa al carcere tradizionale attraverso la detenzione domiciliare. Questo strumento consente un controllo più flessibile rispetto alla reclusione carceraria, permettendo al soggetto di rimanere nel proprio ambiente domestico sotto sorveglianza continua.
Attualmente sono attivi circa 13mila braccialetti elettronici sul territorio nazionale. Di questi, circa 5.800 sono destinati a controllare persone accusate o condannate per reati come stalking; gli altri settemila vengono impiegati per monitoraggi vari legati ad altre tipologie di reato o misure restrittive della libertà personale.
Nonostante questa diffusione significativa, il numero rimane insufficiente rispetto alle necessità reali del sistema penitenziario italiano. La carenza provoca un rallentamento nell’assegnazione dei dispositivi e compromette l’applicazione tempestiva delle misure alternative.
Problemi nella fornitura e conseguenze sui detenuti
Samuele Ciambriello, garante campano per le persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale, ha denunciato personalmente le difficoltà legate alla fornitura dei braccialetti elettronici. Durante un incontro presso il carcere di Poggioreale ha incontrato detenuti che aspettavano da giorni l’attivazione del dispositivo necessario per uscire dal carcere ed iniziare la detenzione domiciliare.
Secondo Ciambriello il problema principale riguarda sia la quantità limitata degli apparecchi disponibili sia i tempi lunghi necessari all’attivazione delle tecnologie collegate al contratto con Fastweb – azienda incaricata della fornitura tecnologica – stipulato dal Ministero dell’Interno. Attualmente si riescono ad attivare solo 1200 dispositivi al mese mentre serve aumentare questa capacità visto l’alto numero di richieste e situazioni da gestire.
Questi ritardi comportano quello che viene definito “un illegittimo prolungamento” della permanenza in cella anche dopo aver ottenuto formalmente il beneficio degli arresti domiciliari con controllo tramite braccialetto elettronico.
Implicazioni istituzionali e richiesta d’intervento urgente
La questione sollevata da Ciambriello coinvolge direttamente due ministeri fondamentali: quello della Giustizia e quello dell’Interno che hanno responsabilità condivise nell’organizzazione delle misure alternative alla detenzione carceraria attraverso strumenti tecnologici come i bracciali elettronici.
Le autorità competenti devono affrontare rapidamente questo problema tecnico-logistico perché coinvolge centinaia di persone costrette ingiustamente a rimanere dietro le sbarre più tempo del dovuto pur avendo diritto a forme meno restrittive di pena. La mancanza o il rallentamento nei dispositivi non solo peggiora condizioni personali ma appesantisce anche ulteriormente il sovraffollamento carcerario già noto nel nostro paese.
L’aumento significativo nelle consegne mensili deve essere accompagnato da verifiche sul corretto funzionamento degli accordi contrattuali con fornitori esterni così da garantire tempi rapidi tra concessione dell’autorizzazione giudiziaria ed effettivo utilizzo del dispositivo presso chi ne ha diritto.