I Carabinieri hanno fermato nove persone ritenute affiliate al clan camorristico Longobardi-Beneduce, attivo a Pozzuoli, nel napoletano. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata firmata dal Gip su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. Le accuse sono pesanti: associazione mafiosa e traffico di droga aggravato dall’uso del metodo mafioso.
Associazione Mafiosa e droga, il cuore dell’inchiesta
Le indagini hanno messo sotto la lente diversi capi d’accusa. Al centro, c’è l’associazione di stampo mafioso, un’organizzazione criminale con una struttura ben definita e chiari obiettivi illeciti tipici della camorra. Accanto a questo, il gruppo è ritenuto responsabile di un traffico di stupefacenti mantenuto con minacce e violenze, proprio come impone il cosiddetto “metodo mafioso”.
La gravità dei fatti ha spinto la magistratura a ordinare la custodia in carcere, segno evidente della pericolosità del clan e della necessità di bloccare sul nascere le loro attività.
Il monopolio della droga e la violenza come arma di controllo
Dalle indagini emerge che il clan aveva preso il controllo esclusivo delle piazze di spaccio a Pozzuoli e nelle zone vicine. Nessun altro poteva entrare nel mercato della droga senza il loro permesso.
Per mantenere questo dominio, il gruppo faceva largo uso di armi per intimidire e colpire chiunque provasse a metterli in difficoltà. La violenza non era un’eccezione, ma un metodo sistematico per imporre la loro supremazia criminale sul territorio.
Il boss al comando, anche dal carcere
Gli investigatori hanno ricostruito il ruolo del capo del clan grazie a intercettazioni telefoniche e ambientali. Sorprendentemente, il leader continuava a dirigere il gruppo anche dall’interno del carcere.
Con telefoni cellulari illegali, dava ordini, gestiva i traffici e coordinava il reclutamento di nuovi affiliati. Questa capacità di comando dietro le sbarre conferma quanto fosse organizzata e pericolosa la struttura criminale.
I collaboratori di giustizia confermano le indagini
Le prove raccolte dagli inquirenti trovano riscontri importanti nelle parole di alcuni recenti collaboratori di giustizia. Questi hanno raccontato come funzionava il clan, chi ne faceva parte e quali strategie adottavano per portare avanti le attività illegali.
Grazie alle loro testimonianze, sono emerse nuove modalità operative del gruppo a Pozzuoli e nei dintorni. Un contributo fondamentale per far avanzare le indagini e rafforzare le accuse contro i responsabili.
Ultimo aggiornamento il 7 Agosto 2025 da Andrea Ricci