A Crotone si rompe il silenzio che ancora avvolge la città sul fenomeno mafioso. È partita la campagna “Io non ci sto”, un’iniziativa che coinvolge le imprese locali per dire no al pizzo e alle intimidazioni criminali. L’obiettivo è creare una rete di solidarietà e segnalazione tra chi vuole opporsi alle mafie. La campagna è stata presentata ufficialmente nella questura di Crotone, con il coinvolgimento di istituzioni, sindacati e associazioni datoriali.
Imprese in prima linea contro il racket: la campagna prende corpo
La spinta arriva dal questore di Crotone, Renato Panvino, che ha messo in moto un lavoro coordinato con il procuratore della Repubblica, Domenico Guarascio, e con rappresentanti di sindacati e associazioni di categoria come Confartigianato, Uil e Ancos. Il cuore dell’iniziativa sono linee guida rivolte agli imprenditori: chi aderisce esporrà un adesivo con la scritta “Io non ci sto – No al Pizzo, No alla Mafia”.
Quegli adesivi diventano un segnale chiaro e pubblico contro la mafia, un modo per tradurre in azione concreta e visibile il rifiuto del pizzo. Tante aziende, ancora oggi, faticano a liberarsi dalle pressioni estorsive. Il questore Panvino ha voluto lanciare un messaggio diretto: sfidare “gli sgherri” che operano sul territorio per conto della criminalità organizzata. Rompere quel muro di paura e omertà che permette ai mafiosi di continuare a vessare le imprese.
Il progetto va oltre la semplice repressione o il controllo delle forze dell’ordine. Vuole costruire un legame di responsabilità tra cittadini, aziende e istituzioni. Non lasciare soli chi denuncia e riempire di clienti i negozi che mostrano il simbolo della campagna sono due strategie pensate per rafforzare la comunità contro la mafia.
Dalla prefettura al procuratore: appelli per una rete coraggiosa
Il prefetto di Crotone, Franca Ferraro, ha definito “Io non ci sto” un passo importante verso una città più libera dalla criminalità e dalle pressioni mafiose. Ha detto di immaginare uno sviluppo in cui Crotone si allontani per sempre da illegalità e intimidazioni.
Anche il procuratore Guarascio ha sottolineato che la chiave è costruire un rapporto di sostegno tra cittadini e istituzioni. In Calabria, ha ricordato, la cultura della denuncia è ancora fragile. La mancanza di una rete solidale lascia soli quelli che scelgono di opporsi al racket. Per questo ha chiamato imprenditori e cittadini a rompere il silenzio e denunciare chi chiede il pizzo, assicurando che non saranno abbandonati.
Questi interventi mettono in luce un problema radicato: paura e diffidenza spingono molti a non segnalare le estorsioni. La criminalità si nutre proprio di questo isolamento. Favorire la collaborazione tra forze dell’ordine, magistratura, imprese e società civile è il tentativo di cambiare una situazione difficile, trasformando la denuncia in un’azione collettiva.
Associazioni e sindacati: un fronte comune contro il racket
Francesco Pellegrini, presidente di Confartigianato, ha raccontato come il questore Panvino abbia coinvolto attivamente associazioni datoriali e sindacati in questo percorso. Dopo una serie di incontri, Confartigianato ha preso l’impegno di aprire sportelli di ascolto per gli imprenditori. Un servizio pensato per chi ha paura di denunciare o ha subito minacce.
Si tratta di un luogo concreto dove titolari di piccole e medie imprese possono raccontare le pressioni subite, ricevere consigli e trovare aiuto vero. La lotta al pizzo non è solo una questione giudiziaria, ma una sfida collettiva che riguarda tutta la città.
Anche Maria Elena Senese, segretaria generale della Uil Calabria, ha detto che l’obiettivo è costruire una rete solida in un territorio complicato. La sfida è dura, ha ammesso, ma lavorare insieme con la Questura può fare la differenza, riducendo la presenza della criminalità e portando risultati concreti. La speranza è che queste alleanze diano forza a chi subisce la pressione mafiosa, evitando che rimangano soli e rassegnati.
Ultimo aggiornamento il 17 Luglio 2025 da Giulia Rinaldi