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Bruce Springsteen a san siro: quarant’anni dal primo concerto con un j’accuse contro l’amministrazione Trump

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Bruce Springsteen torna a calcare il palco di San Siro esattamente dopo quarant’anni dal suo storico debutto, attirando oltre 58 mila fan che hanno accolto il Boss e la sua E Street Band con un entusiasmo travolgente. Non si è trattato solo di una serata di musica ma di un evento carico di messaggi politici e sociali, in cui Springsteen ha espresso critiche nette verso l’amministrazione Trump, definendola corrotta e incapace. Il concerto ha mescolato grandi classici a momenti intensi di impegno civile, confermando la capacità del rocker americano di trasformare ogni esibizione in una manifestazione vibrante.

L’atmosfera al san siro: musica e partecipazione

L’apertura del concerto è stata affidata a No Surrender, brano tratto dall’album Born in the Usa che risale al 1984. Bruce ha subito coinvolto il pubblico chiedendo “Ciao San Siro, siete pronti?”, dando così il via ad una serata energica. Accanto a lui Little Steven era presente dopo aver superato un intervento all’appendicite, salutato da una lunga ovazione degna delle grandi occasioni sportive.

Il palco era animato da immagini tradotte per permettere anche ai presenti non anglofoni di seguire i messaggi trasmessi durante lo show. Springsteen ha infatti sottolineato più volte l’importanza della democrazia invitando tutti a opporsi all’autoritarismo attraverso la musica e l’impegno collettivo. L’esecuzione de The Land of Hopes and Dreams è stata accompagnata dalla dichiarazione che questo tour rappresenta “il potere giusto dell’arte” nei momenti difficili.

Un racconto di storie americane e universali

Le canzoni scelte hanno raccontato storie americane ma anche universali: Rainmaker e Atlantic City sono stati esempi concreti della narrazione sociale tipica del Boss mentre Promised Land ha visto Bruce avvicinarsi alle prime file per condividere emozioni dirette con i fan. Hungry Heart è diventata quasi un coro corale grazie alla partecipazione attiva degli spettatori.

La critica politica nel cuore dello spettacolo

Nel corso della serata Bruce Springsteen non ha evitato temi delicati legati alla situazione politica americana attuale. Ha parlato apertamente del rischio autoritario presente negli Stati Uniti definendo chi sfrutta questa condizione come demagogo pronto ad approfittarne.

Con Long Walk Home il musicista ha intonato quella che chiama “una preghiera per il mio Paese”, momento toccante seguito da House of a Thousand Guitars suonata solo con chitarra e armonica dove denuncia apertamente quello che definisce “il clown criminale” salito al potere rubando la fiducia dei cittadini.

Parole forti contro le minacce alla democrazia

My City of Ruins è stato introdotto da parole forti sulle minacce alla democrazia: persecuzioni contro chi dissente liberamente, tagli ai fondi universitari indipendenti dalle ideologie politiche dominanti, sfruttamento delle fasce più povere della società ed alleanze discutibili con regimi autoritari esterni agli Stati Uniti.

Springsteen accusa senza mezzi termini gli eletti americani colpevoli secondo lui nel non aver difeso abbastanza gli interessi dei cittadini contro abusi presidenziali ed inefficienze governative diffuse; tuttavia manifesta speranza richiamandosi alla frase dello scrittore James Baldwin sulla presenza sufficiente d’umanità per superare le difficoltà attuali.

Finale esplosivo tra classici immortali e bis infuocati

La seconda parte del concerto si apre con Because the Night seguita da Wrecking Ball entrambe capaci di mantenere alta la tensione emotiva nella folla già galvanizzata dalle parole precedenti.

Badlands insieme a Thunder Road segnano idealmente la fine della scaletta principale ma nessuno lascia San Siro senza aspettarsi i bis ormai diventati tradizione negli spettacoli del Boss sul palco italiano.

I bis e la grande chiusura

Il ritorno sul palco porta Born in the Usa cantata insieme al pubblico illuminatissimo dagli smartphone; poi Born to Run fa esplodere nuovamente lo stadio prima dei successivi Bobby Jean, Dancing in the Dark fino all’irresistibile 10th Avenue Freeze-Out concluso dal consueto Twist and Shout ormai marchio registrato degli show finalizzati all’entusiasmo generale.

La chiusura arriva con Chimneys of Freedom suggellando quattro decadi d’intensa attività live senza mai perdere energia o passione davanti ad uno degli scenari più iconici d’Italia.

Written by
Giulia Rinaldi

Giulia Rinaldi osserva il mondo con occhio critico e mente curiosa. Blogger fuori dagli schemi, scrive di cronaca, politica, spettacolo, attualità, cultura e salute con uno stile personale e tagliente, mescolando analisi e sensibilità in ogni articolo. Il suo obiettivo? Dare voce a ciò che spesso passa inosservato.

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