Home Barista uccisa a Milano, il detenuto che lavorava all’hotel Berna l’avrebbe strangolata a mani nude

Barista uccisa a Milano, il detenuto che lavorava all’hotel Berna l’avrebbe strangolata a mani nude

La morte di Chamila Wijesuriya, barista dell’hotel Berna a Milano, solleva interrogativi sul sistema penitenziario e sulla vigilanza dei detenuti in permesso di lavoro esterno dopo un omicidio violento.

Barista_uccisa_a_Milano%2C_il_de

Il caso della barista Chamila Wijesuriya, uccisa a Milano da un detenuto al lavoro esterno, ha sollevato dubbi sul sistema di controllo e vigilanza dei permessi lavorativi per i carcerati. - Unita.tv

Il caso della morte di Chamila Wijesuriya, barista dell’hotel Berna a Milano, ha scosso la città per la drammaticità e le circostanze di questo omicidio avvenuto nei primi giorni di maggio 2025. Chamila, 50 anni, sarebbe stata uccisa da un detenuto ammesso al lavoro esterno nell’albergo, e gli accertamenti delle forze dell’ordine stanno ricostruendo la dinamica di quanto accaduto. L’episodio ha riacceso l’attenzione sul sistema penitenziario e sul monitoraggio di chi è autorizzato a uscire dal carcere per attività lavorative.

Dinamica dell’omicidio e primo intervento delle autorità

Tra il 9 e l’11 maggio 2025, Chamila Wijesuriya è stata uccisa in circostanze violente nell’hotel Berna, dove lavorava come barista. L’aggressore è emerso essere Emanuele De Maria, detenuto che godeva di permessi per lavorare all’esterno, esattamente nell’albergo in cui Chamila prestava servizio. Le prime indagini hanno fatto emergere che la donna sarebbe stata strangolata a mani nude dal detenuto. Gli accertamenti cadaverici, eseguiti il 16 maggio dal medico legale, hanno rivelato che la causa del decesso è il soffocamento, non le ferite da taglio rinvenute sul corpo.

Dettagli sul corpo e le ferite trovate

Il corpo di Chamila presentava due profonde ferite alla gola inferte con un coltello e diversi segni simili sui polsi. Queste ferite, però, sembrano risalire a un momento successivo al decesso. Decisiva sono state dunque le indicazioni del medico legale per stabilire che il principale elemento di morte è stato l’atto di strangolamento. Il fatto che la donna fosse stata aggredita con un coltello senza però morire per le ferite taglienti segna un dettaglio inquietante su quanto avvenuto nella stanza dell’hotel.

Il ritrovamento del corpo e gli elementi insoliti sul luogo del delitto

Quando il corpo di Chamila è stato trovato nel parco nord di Milano, presentava elementi che hanno spinto gli inquirenti ad approfondire le circostanze. Nella sua bocca sono state trovate foglie, un particolare ritenuto insolito e sul quale è ancora in corso una verifica. L’ipotesi della polizia e della procura è che Emanuele De Maria avesse compiuto un gesto rituale, collegato a motivi che potrebbero affondare nelle sue convinzioni personali o nel suo stato psichico.

Questa pista si lega alle indagini sul passato criminale del detenuto, che aveva già commesso un femminicidio nel 2016. Gli approfondimenti sugli aspetti tossicologici, con risultati attesi nei prossimi giorni, dovranno chiarire se il detenuto ha fatto uso di droghe in quel periodo e se questo abbia inciso sul comportamento violento che ha portato alla morte di Chamila. Le autorità lavorano anche per capire l’origine di quel particolare gesto con le foglie e se in passato il detenuto abbia adottato pratiche simili.

I sospetti sulla vigilanza e i rapporti tra la vittima e il detenuto

L’inchiesta guidata dal pm Francesco De Tommasi ha portato a esplorare anche lacune nel controllo del detenuto e nelle comunicazioni tra datore di lavoro e sistema carcerario. Il fatto che Emanuele De Maria avesse manifestato atteggiamenti possessivi e minacciosi nei confronti di Chamila è emerso grazie alla testimonianza di una collega. Secondo questa fonte, De Maria avrebbe più volte minacciato la vittima e tentato di estorcergli soldi, minacciando anche di diffondere video intimi.

Questi episodi non sarebbero stati segnalati dai responsabili dell’hotel al carcere o alle autorità preposte. Questo silenzio o mancata comunicazione ha acceso il dibattito sull’adeguatezza del monitoraggio nel percorso trattamentale del detenuto e se eventuali segnali di rischio siano stati ignorati. Si indaga anche sulle relazioni tra lo staff penitenziario, psicologi ed educatori rispetto al comportamento di Emanuele De Maria durante la sua detenzione.

Ispezione e rilievi su comunicazioni e vigilanza

Implicazioni del caso sul sistema penitenziario e i lavori esterni ai detenuti

Il caso di Chamila ha prodotto tensioni sul modello di lavoro esterno per i detenuti in Italia, soprattutto quando vengono affidati a mansioni a contatto con il pubblico. Emergerebbe la necessità di rafforzare controlli e protocolli per prevenire episodi di violenza gestibili prima che degenerino in tragedie. Le indagini valutano se la selezione del detenuto e la sorveglianza durante le ore lavorative fossero adeguate rispetto al suo profilo e ai rischi potenziali.

Allo stato attuale, il caso rappresenta un campanello d’allarme per istituzioni e strutture lavorative che accolgono detenuti in permesso esterno. Procedere con una revisione delle procedure, migliorare il dialogo tra enti carcerari e datori di lavoro, e tenere maggiormente conto delle eventuali minacce è diventata una priorità. Al momento gli inquirenti seguono ogni pista per ricostruire cause e responsabilità, con l’obiettivo di evitare che fatti simili si ripetano in futuro.