Allarme per minaccia di uccisione a carabiniere dopo conflitto a fuoco a cascina spiotta nel 1975
Un documento del 1977 rivela un piano delle Brigate Rosse per assassinare Pietro Barberis, in risposta alla morte di Margherita Cagol, evidenziando il clima di violenza e vendetta dell’epoca.

Un documento del 1977 rivela un piano delle Brigate Rosse per uccidere l’appuntato Pietro Barberis in vendetta per la morte di Margherita Cagol nel 1975, evidenziando il clima di tensione e violenza degli anni di lotta armata in Italia. - Unita.tv
Un documento del gennaio 1977 svela un piano delle Brigate Rosse per assassinare l’appuntato Pietro Barberis, coinvolto in uno scontro a fuoco nel 1975 a cascina spiotta, al centro di un processo storico che riporta alla luce vicende ancora dolorose. Quella lotta si concluse con la morte di Giovanni d’Alfonso, carabiniere, e di Margherita Cagol, figura chiave delle brigate. Il clima di quegli anni, ancora segnato dal rischio di vendette, emerge da un fonogramma che testimonia l’allarme lanciato dai carabinieri di la spezia. Le memorie di allora e le testimonianze recenti mostrano un contesto teso e carico di pericoli.
Il fonogramma del 1977 e l’allarme per barberis
La comunicazione risale a gennaio 1977, trasmessa dai carabinieri di la spezia ai vertici dell’arma, alla brigata di torino guidata da carlo alberto dalla chiesa, al ministero dell’interno, alla questura e alla prefettura di la spezia. Nel testo, segnato da un tono ufficiale e scarno, si riferisce un’allerta su un piano delle Brigate Rosse per uccidere l’appuntato Barberis. Il motivo era la rivendicazione della morte di Margherita Cagol, caduta durante il blitz di giugno 1975 alla cascina spiotta.
Secondo la nota, suggerita da una detenuta che aveva ascoltato confidenze di Nadia Mantovani, ex brigatista reclusa nella casa circondariale di la spezia, il piano era in preparazione e la legione di alessandria era già stata avvertita. Questo documenta il livello di pericolo che la rete delle brigate continuava a rappresentare.
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Il riferimento al conflitto a fuoco del giugno 1975 ricostruisce un episodio emblematico delle lotte armate in italia. La liberazione tentata di Vittorio Vallarino Gancia, imprenditore sequestrato, si concluse con la morte del carabiniere d’alfonso e della stessa Margherita Cagol, figura storica e moglie di Renato Curcio, uno dei leader delle brigate rosse.
La vendetta delle brigate rosse e il contesto di quegli anni
La morte di Margherita Cagol, narrata da Renato Curcio nelle sue memorie come ingiusta e subita da una donna disarmata, è stata il motivo per un’azione di vendetta indirizzata proprio a Barberis. Il piano suggeriva di ucciderlo per pareggiare il conto sanguinoso della battaglia di quella spiotta.
Quel periodo si caratterizzava per frequenti scontri e tensioni tra forze dell’ordine e gruppi armati. I carabinieri e gli investigatori erano pronti a reagire a minacce e annunci di attentati, consci del rischio che ognuno di quei segnali potesse tradursi in violenza effettiva. L’allerta del 1977 indica che non si trattò di una minaccia generica, ma di un pericolo concreto e imminente. Pietro Barberis, dopo questa comunicazione, fu convocato da Dalla Chiesa e messo in guardia sul rischio che correva.
Il ricordo di quegli eventi è stato conservato negli atti che oggi fanno parte di un processo molto seguito. L’eco della lotta armata e dei suoi conflitti rimane una parte dolorosa della storia italiana, e il fonogramma ne rappresenta una testimonianza diretta.
Il processo e gli imputati coinvolti nella vicenda
Il documento è parte importante di un fascicolo in corso davanti alla corte d’assise di alessandria. Il processo riguarda l’omicidio del carabiniere d’alfonso, compiuto nel 1975 alla cascina spiotta, e vede imputati ex brigatisti storici.
Lauro Azzolini, ottantaduenne, è accusato di aver sparato a d’alfonso e ha ammesso la sua presenza alla cascina nel giorno dell’uccisione. Renato Curcio e Mario Moretti, ex leader delle brigate rosse, sono indicati come mandanti.
Gli avvocati delle parti civili, tra cui Nicola Brigida, hanno sottolineato l’importanza del fonogramma per dimostrare la pianificazione di vendette e attentati, mettendo in luce dinamiche allora poco conosciute. Il documento serve anche per chiarire momenti oscuri di quella stagione.
Le testimonianze emerse durante le udienze confermano la reale minaccia per Barberis e l’intervento diretto di carlo alberto dalla chiesa per proteggerlo. Un quadro di scontri ideologici e violenti che pesa ancora nel tempo.
Il silenzio e le testimonianze di chi ha vissuto quegli anni
Un clima di forte tensione si intreccia con racconti personali emersi in aula recentemente. Bruno d’alfonso, figlio del carabiniere ucciso, ha denunciato il silenzio che per troppo tempo ha coperto la vicenda della cascina spiotta. Ha sollevato il sospetto di un patto di non belligeranza tra lo stato e i brigatisti, basandosi su un colloquio del 2009 con Vittorio Vallarino Gancia.
Durante quell’incontro, racconta d’alfonso, Gancia gli riferì di aver riconosciuto la voce di uno dei rapitori ma di esser stato invitato da Dalla Chiesa a non rivelare nulla, per ragioni di sicurezza. Quella frase – “se lei vuole campare ancora qualche anno, stia buono dov’è” – testimonia un rapporto complesso e segnato da accordi sottotraccia.
Nadia Mantovani, ex brigatista coinvolta nell’arresto del 1976 e coinvolta nel processo come testimone, potrebbe fornire altri dettagli riguardo il fonogramma emerso da vecchi archivi. Questo documento, che torna a galla dopo decenni d’oblio, mette in scena intrecci che solo ora si riescono a comprendere nella loro interezza.