Il tribunale amministrativo regionale ha bloccato le concessioni rilasciate per la navigazione turistica sul laghetto di Capodacqua, un’area interna al parco nazionale del Gran Sasso e zona protetta per gli uccelli. Questa decisione arriva dopo che alcune associazioni ambientaliste avevano segnalato irregolarità nelle procedure autorizzative e danni all’habitat naturale. Il caso evidenzia criticità nella gestione delle aree protette e nei processi di valutazione ambientale affidati a enti locali.
Il contesto ambientale del laghetto di capodacqua e le specie protette coinvolte
Il laghetto di Capodacqua si trova all’interno del parco nazionale del Gran Sasso, in provincia dell’Aquila. Si tratta dell’unica area umida presente sul versante sud-occidentale della riserva naturale, un habitat particolarmente importante per diverse specie di uccelli tutelati dalla normativa comunitaria. La zona è inclusa nella Zona di Protezione Speciale , riconosciuta a livello europeo proprio per la sua rilevanza ornitologica.
La presenza stabile degli uccelli in questo luogo è dovuta alle condizioni naturali favorevoli alla nidificazione e alla crescita dei pulcini. Questi animali sono notoriamente sensibili ai disturbi esterni: anche movimenti o rumori a poche decine di metri possono farli allontanare dal sito riproduttivo, mettendo a rischio la schiusa delle uova o l’alimentazione dei piccoli. Per questo motivo ogni attività antropica deve essere attentamente valutata prima dell’autorizzazione, rispettando i tempi biologici critici.
Nonostante questa importanza ecologica riconosciuta da tempo, negli ultimi anni sono stati realizzati interventi come la costruzione non preventiva ma successiva di un pontile con conseguente rimozione della vegetazione sulle rive dello specchio d’acqua. Inoltre era stata concessa una navigazione turistica durante il periodo riproduttivo degli uccelli, senza considerare i potenziali effetti negativi su queste popolazioni animali.
Le motivazioni della sentenza tar contro parco nazionale e comune
La sentenza emessa dal Tar mette sotto accusa due enti pubblici: il Parco nazionale del Gran Sasso e il Comune di Capestrano . Entrambi avevano approvato una Valutazione d’Incidenza Ambientale dopo che i lavori erano già stati eseguiti; questa procedura “a posteriori” non rispetta le norme che prevedono uno studio preventivo necessario ad evitare danni irreversibili agli habitat tutelati.
Inoltre la competenza tecnica degli uffici comunali coinvolti è stata messa in discussione dalla corte amministrativa: tali valutazioni richiedono specifiche conoscenze naturalistiche che spesso mancano nelle piccole amministrazioni delegate dalla regione Abruzzo senza adeguate risorse o personale specializzato. Questa carenza ha favorito errori nell’approvazione dei progetti con ricadute negative sull’ambiente locale.
Le associazioni Lipu Abruzzo e Stazione Ornitologica Abruzzese hanno sottolineato come gli interventi abbiano compromesso l’integrità dell’area umida più significativa lungo quel versante montano causando disturbo alle specie nidificanti in una zona limitata ma cruciale dal punto vista ecologico.
Impatti sulle politiche territoriali nelle aree protette abruzzesi
Questo provvedimento giudiziario rappresenta un monito verso chi gestisce territori sensibili sotto vincolo ambientale. Le aree protette devono mantenere lo scopo prioritario della conservazione della biodiversità anziché favorire uscite turistiche intense senza regole chiare né controllate efficacemente dalle istituzioni preposte.
Il caso rivela inoltre quanto sia delicata l’organizzazione territoriale regionale attuale in cui piccoli comuni si trovano a svolgere compiti complessi come quelli legati alla Valutazione d’Incidenza Ambientale senza avere competenze tecniche sufficientemente qualificate né adeguata supervisione dall’alto. Questo modello rischia così favorire autorizzazioni errate o tardive con conseguenze dannose sugli ecosistemi più fragili presenti nel territorio abruzzese.
Gli organismi tecnici comunali stessi hanno manifestato preoccupazioni rispetto alle normative vigenti chiedendo una revisione delle procedure affinché siano affidate solo ad enti dotati delle conoscenze necessarie evitando così nuove situazioni simili che mettono a rischio valori naturali riconosciuti anche fuori dai confini regionali.