La sera del 25 gennaio 2025, Amina Sailouhi, una donna di 43 anni di origine marocchina, è stata uccisa a casa sua, a Settala, nella periferia di Milano. L’omicidio è avvenuto davanti agli occhi della figlia di 10 anni, dopo una lunga serie di maltrattamenti e minacce da parte del marito Khalid Achak, 50enne connazionale. La denuncia per maltrattamenti risale al novembre 2022, ma nonostante la segnalazione e l’attivazione del codice rosso, l’uomo non era mai stato fermato. I dettagli di questa vicenda rivelano i limiti degli interventi finora adottati nelle situazioni di violenza domestica.
La dinamica dell’omicidio e le parole del marito
Quella sera Khalid Achak ha perso il controllo mentre litigava con la moglie. Ai magistrati ha raccontato di aver avuto un’esplosione di rabbia e di averla colpita ripetutamente con un coltello. Sono stati almeno 15 i fendenti inferti ad Amina nella loro abitazione di Settala, un comune alle porte di Milano. Nella confusione e nel terrore, la bambina presente ha cercato di fermare il padre gridando “Papà, no!” e ha poi utilizzato il telefono regalatole dalla madre per chiamare i soccorsi. La scena si è consumata sotto gli occhi della bambina, un dettaglio che pesa ancora di più nel racconto di questa tragedia familiare.
La confessione raccolta dal gip
La confessione di Khalid, raccolta dal gip Emanuele Mancini, sottolinea come l’uomo abbia perso il controllo, ammettendo di ricordare solo la prima coltellata e di essersi poi come “annebbiato”. Le dichiarazioni mostrano la brutalità dell’episodio, ma anche un quadro inquietante di tensioni accumulate da tempo.
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I segnali di allarme: le denunce e le aggressioni precedenti
Amina aveva denunciato il marito per maltrattamenti il 26 novembre 2022, descrivendo una serie di aggressioni e continui insulti. Le vicende erano iniziate dall’estate di quell’anno, con minacce e violenze fisiche e psicologiche. La donna aveva raccontato i vari episodi ai carabinieri di Peschiera Borromeo, fornendo dettagli dei pestaggi e delle minacce ricevute. Durante una delle aggressioni, il marito l’aveva colpita con due pugni al volto, e le foto delle ferite erano state raccolte come prova dagli investigatori.
Nelle settimane precedenti alla denuncia formale Amina aveva chiesto aiuto dopo un viaggio in Marocco, periodo in cui il marito la accusava di tradimento. Il 6 settembre 2022 aveva contattato il 112 senza però presentare una denuncia vera e propria. In seguito, si era rifugiata con la figlia in un albergo per due giorni a causa delle continue vessazioni. Altri episodi violenti si erano ripetuti fino alla fine di novembre, ma la donna aveva scelto solo quel giorno di denunciare ufficialmente, facendo attivare il codice rosso.
Perché il marito non è stato fermato prima
Il caso solleva domande pesanti sul perché Khalid Achak sia rimasto libero dopo le denunce e le segnalazioni. La Procura di Milano ha spiegato che, nonostante l’attivazione dei protocolli previsti per i casi di violenza domestica, non è stata ravvisata la necessità di una misura cautelare. Non erano arrivate ulteriori segnalazioni e Amina aveva rifiutato il trasferimento in una casa protetta, pur essendo stata presa in carico da un centro anti-violenza nel corso del 2022.
Le indagini e il procedimento
Le indagini dovevano concludersi in vista della richiesta di rinvio a giudizio, ma nessuna decisione restrittiva era stata adottata. Così, proprio mentre il procedimento stava andando avanti, l’escalation violentissima ha portato all’omicidio. Questo caso mette in luce i limiti di un sistema dove le vittime di violenza spesso si confrontano con una strada giuridica e sociale complicata, e a volte insufficiente a prevenire gesti estremi.
Il dramma della figlia e le conseguenze familiari
La figlia di Amina, di soli 10 anni, ha assistito a tutta la scena e ha tentato di interrompere la violenza. Il suo intervento con il telefono per chiamare aiuto, indicato anche nelle ricostruzioni degli inquirenti, dimostra la gravità della situazione dentro la famiglia. Dopo quella notte drammatica la bambina è stata affidata a uno zio materno, mentre il padre è indagato per maltrattamenti in famiglia e omicidio.
Questo evento riapre il tema dell’impatto che la violenza domestica ha anche sui minori coinvolti direttamente o indirettamente. La custodia e il sostegno alla bambina ora sono al centro delle attenzioni della famiglia e degli enti sociali. In molti si chiedono se sia possibile intervenire prima, per mettere in sicurezza i più fragili quando si presentano segnali preoccupanti come quelli raccolti in questa tragedia.
Il caso di Settala evidenzia una volta ancora le difficoltà nel prevenire femminicidi dopo le prime denunce. Le ombre sull’efficacia delle misure adottate emergono con chiarezza, mentre si registra una ferita che riguarda non solo la famiglia coinvolta ma tutto il contesto sociale che dovrebbe proteggere e accompagnare le vittime di violenza.