Home a roma sgominato il Roman Empire, tra traffico di droga e sfruttamento di minori nigeriane

a roma sgominato il Roman Empire, tra traffico di droga e sfruttamento di minori nigeriane

Il clan “Roman Empire”, mafia nigeriana attiva a Roma, gestisce traffici di droga e sfruttamento della prostituzione, mantenendo il controllo attraverso violenza e rituali. Le indagini hanno portato a sei arresti.

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L'articolo descrive l’azione criminale del clan nigeriano "Roman Empire" a Roma, specializzato in traffico di droga e sfruttamento della prostituzione minorile, e il lavoro delle forze dell’ordine che ha portato al suo smantellamento e al sostegno delle vittime. - Unita.tv

Il fenomeno criminale del “Roman Empire”, clan della mafia nigeriana radicato nella capitale, emerge con forza dopo un’indagine lunga mesi. Questo gruppo si distingue per il controllo di traffici illegali che spaziano dalla droga allo sfruttamento della prostituzione minorile e adulta. Dietro l’apparente ordine e il silenzio imposto, si nascondeva una rete di violenze e rituali che incatenavano le vittime sia nel corpo sia nella mente. Scopriamo come si muoveva questo gruppo e come le forze dell’ordine sono riuscite a smantellarlo.

caratteristiche e simboli del Roman Empire nella criminalità nigeriana di roma

Il clan Roman Empire si presenta con tratti distintivi che segnano la sua presenza sia sul territorio romano sia oltre confine. I membri, identificabili dal cravattino verde, fanno parte del gruppo Maphite, noto all’interno della mafia nigeriana per la rigida gerarchia e l’uso di simboli precisi. Senza urla o scenate, bastava uno sguardo per colpire. Il controllo si basava su un sistema ben organizzato in cui la paura si diffondeva con la stessa efficacia della violenza fisica.

Non si trattava di un gruppo disorganizzato; al contrario, il Roman Empire gestiva diverse attività criminali. Il traffico di droga scorrevano in parallelo con gruppi albanesi e bande locali, contribuendo a consolidare un impero invisibile ma potente. L’altra faccia, però, era più crudele: la tratta di persone, con focus particolare sulle ragazze nigeriane giovanissime. Queste venivano attratte con promesse di un futuro diverso e migliore per poi ritrovarsi schiave, obbligate a ripagare un debito impossibile e piegate da strutture di controllo come i riti voodoo.

Il sistema di intimidazione andava oltre la forza fisica, si faceva strada nella mente e nell’anima delle vittime, isolandole in un silenzio terreno che durava fino a oggi, fino alle prime denunce emerse grazie al coraggio di alcune ragazze.

Il sistema di sfruttamento e controllo delle vittime

Il meccanismo di reclutamento e mantenimento delle vittime del Roman Empire si basava su un mix di artefatti culturali e violenza fisica, che forma e struttura assumevano un ruolo centrale. Le ragazze nigeriane, appena arrivate a roma, con la speranza di un lavoro onesto, venivano immediatamente inserite in una rete complessa che le imprigionava. La cosiddetta madame gestiva il loro percorso: da un debito da ripagare con la prostituzione alla paura di incorrere in maledizioni voodoo che impedivano psicologicamente ogni forma di fuga.

Le minacce non erano solo parole vuote: erano rituali, maledizioni e punizioni fisiche. L’assenza di appoggio, il clima di paura creato dal clan e l’isolamento portavano le ragazze a una condizione di silenzio totale verso chiunque esterno al gruppo. Questo sistema non solo sfruttava il corpo ma imprigionava anche la mente. Le vittime spesso non potevano o non osavano nemmeno chiedere aiuto.

Lungo i quartieri occupati dal clan, la loro autorità veniva applicata con crudeltà sotto forma di giustizia parallela, fatta di regole non dette, ma subito chiare a chiunque si trovasse coinvolto. Pestaggi, torture e punizioni rituali erano all’ordine del giorno, pensate per mantenere il controllo assoluto sul territorio e sulle persone.

Sono stati proprio la testimonianza e la forza interiore di alcune di queste ragazze a rompere l’incantesimo del terrore, aprendo la strada a una lunga e complessa inchiesta.

Le indagini della squadra mobile di roma e l’arresto dei membri del clan

Gli investigatori della squadra mobile di roma, insieme alla direzione distrettuale antimafia, hanno portato avanti per mesi un lavoro silenzioso e accurato. Pedinamenti, intercettazioni e controlli hanno permesso di scoprire come il clan si muoveva e chi fossero i vertici nascosti dietro facciate rispettabili. Molti dei boss apparivano come persone integrate, con documenti regolari e attività legali, operanti nel mondo dell’accoglienza o della piccola impresa. Questa copertura rendeva il loro operato ancor più insidioso.

Le indagini non si sono fermate ai confini della capitale. Alcuni affiliati avevano trovato rifugio in Islanda, tentando di esportare lo stesso sistema criminale. Sei arresti sono scattati tra roma e l’estero, colpendo tanto i leader quanto i luogotenenti e le donne addette al reclutamento e al controllo delle vittime. Le forze dell’ordine hanno colpito un punto molto sensibile: la convinzione di impunità che il clan credeva di avere.

Nonostante gli arresti, il lavoro continua. Le indagini proseguono su altre realtà criminali simili, non solo nella capitale, ma sparse per tutta Italia. Il colpo inferto, però, rappresenta una svolta significativa nella lotta contro questi gruppi che agiscono nell’ombra e nella violenza.

Il percorso di recupero delle vittime e il ruolo delle strutture di accoglienza

Dietro la morsa del Roman Empire rimangono le giovani vite segnate da esperienze di sfruttamento e terrore. Alcune ragazze oggi sono ospitate in case famiglia e centri di accoglienza dedicati alle vittime di tratta. Questi luoghi tentano di offrire spazi di sicurezza e momenti per ricostruire un futuro lontano dalla criminalità e dalla paura.

Il cammino di recupero è difficile. Le ferite psicologiche e fisiche impongono un sostegno continuo, fatto di terapie, protezione e interventi sociali. Le vittime devono imparare a rompere il muro di silenzio, a riacquistare fiducia e autonomia. La memoria di quello che hanno vissuto non scompare mai, ma in certi casi può tradursi in una rinnovata volontà di rinascita.

Le istituzioni e le organizzazioni impegnate in questo campo osservano con attenzione gli sviluppi giudiziari e investigativi. Solo una risposta coordinata e costante potrà aiutare a prevenire nuovi casi e spezzare definitivamente catene invisibili, che legano ancora troppi giovani a vite di sofferenza.