A 49 anni dal terremoto del friuli: lo choc del 6 maggio 1976 che cambiò per sempre il territorio e la vita di migliaia di persone
Il terremoto del 6 maggio 1976 devastò il friuli, causando quasi mille vittime e danni ingenti. La ricostruzione ha dato vita al “modello friuli”, esempio di solidarietà e comunità.

Il terremoto del 6 maggio 1976 colpì duramente il Friuli, causando quasi mille morti e vaste distruzioni; la ricostruzione partecipata e la memoria collettiva hanno dato vita al "modello friuli", esempio nazionale di resilienza e solidarietà. - Unita.tv
Il 6 maggio 1976 alle 21 una violenta scossa sismica colpì la fascia collinare a nord di Udine, lasciando una scia di distruzione e lutti nel friuli. Quasi mille persone persero la vita, migliaia rimasero ferite e centinaia di paesi vennero danneggiati tra le province di Udine e Pordenone. Questo evento ha segnato profondamente la storia e la memoria di quella regione, che ancora oggi richiama il ricordo di una notte drammatica e di una ricostruzione esemplare.
La notte del sisma e la devastazione nei comuni friulani
La scossa principale arrivò alle 21 del 6 maggio 1976, con una magnitudo valutata a 6.4 sulla scala Richter. Le località più duramente colpite si trovavano nella fascia collinare a nord di Udine: Gemona, Venzone, Osoppo, Majano e altre decine di piccoli centri rimasero quasi rasi al suolo. Il numero delle vittime sfiorò quota mille, mentre più di 3.000 persone riportarono ferite di varia entità. Gemona, uno dei centri principali, subì danni particolarmente gravi, con circa 400 morti e l’intero centro storico praticamente annientato.
Repliche e crisi
La prima scossa non rimase isolata: si contarono infatti centinaia di repliche nei giorni successivi. Tra queste spiccò quella del 15 settembre di magnitudo 5.9, che tornò ad aggravare la situazione in un territorio già devastato. Il terremoto provocò una crisi immediata per le strutture abitative, ma anche per i servizi essenziali e la vita quotidiana delle comunità coinvolte. Lo scenario di quella serata restò impresso nella memoria popolare per la sua violenza e la rapidità con cui colpì interi paesi.
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Il ricordo collettivo dell’orcolat e le commemorazioni annuali
In friulano, l’orcolat indica un orco, una creatura mostruosa capace di scatenare terremoti. Nel folklore locale questa figura è stata associata da sempre alle scosse che hanno sconvolto il territorio friulano. Quella notte del 1976 ha alimentato racconti e memorie che, a quasi cinquant’anni di distanza, mantengono viva la consapevolezza di ciò che accadde.
Ogni anno, il 6 maggio alle 21, molte chiese del friuli suonano le campane in contemporanea. “Questo gesto richiama al silenzio e al ricordo delle vittime.” A Vendoglio, nella chiesa di San Michele, si celebra una Santa Messa dedicata a chi ha perso la vita e a chi è sopravvissuto. Si tratta di un momento di raccoglimento che coinvolge la comunità nel mantenere vivo il legame con quel passato tragico.
Oltre la commemorazione religiosa
Le commemorazioni non si limitano alla sfera religiosa. Il ricordo di quell’evento si prolunga nella cultura locale grazie a eventi pubblici, mostre e testimonianze orali che raccontano quel pezzo di storia. La memoria dell’orcolat diventa così un simbolo collettivo che aiuta a tenere presente il valore della vita e la fragilità del territorio di fronte alla natura.
La solidarietà nazionale e internazionale nell’immediato dopo terremoto
L’emergenza portò con sé una straordinaria risposta di solidarietà dall’intera italia e dall’estero. Le immagini delle macerie furono accompagnate da un impegno diffuso di cittadini, associazioni, amministrazioni locali, che si mobilitarono per soccorrere i sopravvissuti. Non solo aiuti materiali, ma un forte spirito di partecipazione animato da sindaci e parroci che assunsero un ruolo fondamentale nel raccordare le risorse e le richieste sul territorio.
Fu così possibile avviare i primi passi della ricostruzione in tempi rapidi, grazie all’attività del commissario straordinario Giuseppe Zamberletti. La sua gestione fu cruciale nell’organizzare gli interventi e coordinare le risorse. Questa esperienza pose poi le basi per la nascita della protezione civile italiana, istituzionalizzando un sistema di gestione emergenziale basato su prassi nuove, nate proprio dal disastro friulano.
Sostegno internazionale e rete di cooperazione
Il sostegno internazionale contribuì a consolidare una rete di cooperazione e scambio che rimase attiva anche nelle fasi successive, durante i lavori per riportare abitabilità e servizi nei paesi colpiti.
Il modello friuli: ricostruire tra memoria e futuro
Il processo di ricostruzione in friuli non fu soltanto una riparazione degli edifici danneggiati. Diede vita a quello che viene definito “modello friuli”, un esempio di coinvolgimento comunitario che permise di bilanciare il rispetto per la memoria con un approccio al futuro più funzionale e moderno. Le comunità locali participarono attivamente alle scelte, favorendo un senso di identità e appartenenza che facilitò il ritorno alla normalità.
Questo modello si basò su una collaborazione stretta tra amministrazioni, cittadini, tecnici e associazioni, protagonista di un metodo rigoroso ma umano. L’esperienza friulana fece scuola anche a livello nazionale, insegnando come si possa affrontare con efficacia una calamità naturale nel contesto rurale e montano del nordest.
Celebrazioni e memoria
Oggi, a quasi cinquant’anni da quei giorni, questo percorso di rinascita è celebrato anche attraverso manifestazioni culturali. La mostra “Passato/Presente” a Venzone conserva fotografie, documenti e voci dirette dei testimoni di allora, raccontando il dolore e il lavoro che seguirono il sisma. Lo scopo è mantenere un legame storico, capace di unire nuove generazioni al ricordo di una stagione difficile, ma che ha segnato una svolta per l’intera regione.