Uomo condannato per duplice omicidio a milano si toglie la vita dopo l’ennesima tragedia

Un uomo con precedenti penali, Emanuele De Maria, si suicida dopo aver ucciso una collega a Milano, sollevando interrogativi sulla gestione dei permessi e la sicurezza nel sistema penitenziario.
Emanuele De Maria, già condannato per omicidio, ha ucciso una seconda donna a Milano e si è poi suicidato, sollevando dubbi sulla gestione dei permessi carcerari e il reinserimento sociale di detenuti pericolosi. - Unita.tv

Un uomo con una lunga storia criminale alle spalle, noto per aver ucciso due donne, ha scelto di togliersi la vita a milano dopo aver compiuto il suo secondo omicidio nel capoluogo lombardo. La vicenda getta luce sulle difficoltà di reinserimento e sui rischi legati ad alcuni percorsi penitenziari. I dettagli raccontano una vicenda complessa fatta di violenze, permessi premio e tragedie umane.

Dal primo omicidio a caserta al secondo a milano: la scia di violenza di emanuele de maria

Emanuele de maria, 35 anni, era già noto alle forze dell’ordine per un brutale omicidio consumato nel casertano nel 2016. Allora, aveva tolto la vita a una giovane tunisina di 23 anni. Condannato a una pena inizialmente di 14 anni, ridotti poi a 12, aveva passato diversi anni dietro le sbarre. Durante la detenzione, gli era stato concesso un permesso di uscita diurno per motivi di lavoro presso un ristorante vicino alla stazione centrale di milano, con la condizione di tornare ogni sera in carcere. Secondo l’avvocato difensore, si era comportato bene mentre godeva di questa possibilità.

Ma quel “comportarsi bene” si è rivelato presto un’illusione. De maria ha infatti ucciso nuovamente, questa volta una collega di lavoro, una 35enne originaria dello Sri Lanka con cui aveva intrapreso una relazione. Sembra che la donna volesse interrompere il legame, circostanza che avrebbe scatenato la furia omicida. Non solo: avrebbe anche tentato di colpire un uomo italo-egiziano, 50 anni, che viveva con la vittima. Il corpo della donna è stato ritrovato domenica pomeriggio nel parco nord di milano, coperto da numerose ferite da coltello.

Questa nuova tragedia ha reso evidente come la concessione di permessi a persone con precedenti così gravi possa comportare rischi considerevoli. De maria non era estraneo al sistema carcerario, ma non è riuscito a cambiare il proprio destino.

La condanna e la difficoltà del sistema penitenziario nel gestire casi come quello di de maria

Il caso di emanuele de maria evidenzia le crepe di un sistema penitenziario che tenta di coniugare la pena con la possibilità di reinserimento sociale. Con una pena ridotta per buona condotta e permessi premio per lavorare fuori dal carcere, l’uomo aveva un’occasione che molti detenuti non ottengono. Tuttavia, il suo percorso ha dimostrato come l’iter riabilitativo può fallire radicalmente se manca un controllo più stringente o se non si considerano i segnali di rischio.

Negli anni aveva già tradito questa opportunità con violenze e comportamenti aggressivi. Il fatto stesso che avesse tentato di eliminare il compagno della sua ex, oltre all’omicidio della donna, segna un’escalation che doveva aver allarmato gli addetti ai lavori. La famiglia della seconda vittima ha denunciato anche irregolarità nella gestione del caso, con accuse rivolte a un tecnico dell’obitorio per presunti errori durante gli accertamenti.

Questo episodio torna a sollevare il dibattito sull’efficacia dei percorsi di rieducazione e sulle garanzie per chi deve affrontare un tornare alla società dopo il carcere, specie quando si tratta di soggetti con una pericolosità accertata.

Il gesto estremo al duomo di milano e l’ultimo messaggio alla madre

Dopo il secondo omicidio, emanuele de maria non è rientrato in carcere come previsto. Qualche ora dopo, si sarebbe lanciato nel vuoto dalle guglie del duomo di milano, un gesto finale che ha segnato la chiusura drammatica di una vicenda lunga e dolorosa. Prima di compiere questo atto, ha inviato un messaggio whatsapp alla madre nel pomeriggio di un giorno festivo. Nel testo si legge: “Ho fatto una cazzata, chiedo perdono. Ti voglio bene. Tanto. Tanto.”

Questo ultimo sms rappresenta un appello spezzato, un grido di dolore verso chi gli aveva dato la vita, segno che nonostante tutto dentro di lui rimaneva un residuo di coscienza e relazione affettiva. Alcune fonti riportano anche una telefonata alla madre, ma i dettagli rimangono incerti.

Il gesto è stato interpretato come una sorta di riconoscimento del male compiuto e una richiesta di perdono, un’estrema volontà di aggrapparsi a ciò che restava di umanità nel momento più buio. Tuttavia, la catena di eventi esprime anche la tragica difficoltà di chi si trova invischiato in un destino segnato da violenza e isolamento.

Riflessi sulla giustizia e il dibattito pubblico dopo il caso emanuele de maria

La vicenda di emanuele de maria riaccende un acceso confronto pubblico sulla gestione della giustizia penale e della sicurezza. Il fatto che un uomo con condanne per omicidio potesse godere di permessi per uscire e lavorare fuori dal carcere suscita interrogativi riguardo alle misure adottate per prevenire episodi di violenza.

Molti sottolineano la necessità di un maggiore rigore nel valutare i rischi di pericolosità e l’adeguatezza delle misure di sorveglianza. Altri ricordano che pure durante l’esecuzione della pena, occorre bilanciare il rispetto dei diritti con la tutela della collettività. Il caso ha anche visto manifestazioni di solidarietà verso alcune persone coinvolte, con gruppi che contestano la versione ufficiale, ma le inchieste proseguono senza elementi che possano smentire i fatti.

In memoria delle vittime, si riflette sulla fragilità delle situazioni personali che spesso si intrecciano con violenze che scoppiano all’improvviso, lasciando ferite difficili da rimarginare dentro la società. Le scelte giudiziarie e le politiche di sicurezza restano al centro del dibattito, mentre la città di milano prova a metabolizzare un altro episodio drammatico sul proprio territorio.