La ricerca sull’alzheimer sta compiendo un passo avanti significativo grazie a un nuovo vaccino sviluppato da scienziati dell’università del New Mexico e del California National Primate Research Center. Questo composto si differenzia da quelli finora studiati, concentrandosi sulle proteine tau, ritenute responsabili del deterioramento cognitivo, contrariamente ai tradizionali vaccini che agiscono sulle placche beta-amiloidi. I test su modelli murini e primati non umani hanno mostrato segnali di efficacia, aprendo la strada, forse, a una nuova frontiera nella cura della malattia. Tuttavia, la strada verso la sperimentazione umana e la commercializzazione resta lunga, con dubbi e passaggi ancora da superare.
Il nuovo vaccino contro l’alzheimer si focalizza sulle proteine tau, non sulle placche amiloidi
Il punto di partenza per capire l’innovazione di questo vaccino è il suo bersaglio: le proteine tau. Queste sono legate al fenomeno del deficit cognitivo e si differenziano dalle beta-amiloidi, che danneggiano il cervello creando le cosiddette placche amiloidi. Per anni, la ricerca si è concentrata principalmente su queste ultime, senza però ottenere risultati conclusivi o terapie efficaci. Le proteine tau, invece, diventano tossiche quando si legano a particelle di fosforo e interferiscono con il corretto funzionamento dei neuroni. La novità sta proprio nella ricerca di metodi per bloccare o eliminare queste tau fosforilate, poiché si ritiene che questo processo sia più direttamente collegato al declino delle funzioni mentali nelle persone con alzheimer.
Il ruolo delle proteine tau nel declino cognitivo
La rilevanza di questa prospettiva si basa sui limiti delle terapie precedenti. Le placche beta-amiloidi, anche se presenti in gran numero nei cervelli malati, non sempre sono correlate alla severità della malattia. Al contrario, le proteine tau sembrano legarsi in modo più diretto ai sintomi e ai danni neurali. Il vaccino del New Mexico sfrutta questo dato, offrendo una strada sperimentale che, se confermata, potrebbe cambiare l’approccio terapeutico nei prossimi anni.
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La tecnologia del vaccino e come dovrebbe agire nel corpo umano
Il vaccino messo a punto dagli esperti non funziona come quelli comuni per infezioni virali o batteriche. Non si tratta di una profilassi preventiva, ma di un trattamento per chi è già affetto da alzheimer. La sua composizione si basa su particelle Virus-Like, che non contengono materiale genetico, escludendo quindi tecnologie mRna. Queste particelle sembrano indurre il sistema immunitario a riconoscere e attaccare in modo specifico le proteine tau quando si fosforilano.
In pratica, il vaccino “insegna” al sistema immunitario a intervenire solo nel momento in cui le tau assumono uno stato tossico per i neuroni. Questo ha un doppio vantaggio: si evitano potenziali effetti collaterali o attacchi immunitari contro proteine normali e si mira ad arrestare il processo che causa il deterioramento cognitivo.
Non sono stati finora segnalati effetti negativi rilevanti nelle fasi di sperimentazione preclinica. L’assenza di materiale genetico e la natura del Virus-Like Particle limitano le reazioni immunitarie generali che potrebbero danneggiare il paziente. Questo approccio resta comunque teorico, e la conferma definitiva potrà arrivare solo attraverso sperimentazioni su larga scala nell’essere umano.
Risultati dei test su animali: modelli murini e primati non umani
L’efficacia di questo vaccino si è prima mostrata in esperimenti eseguiti su topi affetti da forme simili all’alzheimer umano. Nei modelli murini si è notata una risposta immunitaria robusta e una stabilizzazione delle funzioni cognitive che di solito peggiorano in queste condizioni. Si tratta di segnali importanti, che hanno spinto i ricercatori a procedere con ulteriori test.
Successivamente, gli esperimenti sono stati estesi ai primati non umani, più prossimi all’essere umano per caratteristiche del sistema immunitario e processi cerebrali. Anche in questi soggetti si sono verificati miglioramenti analoghi, senza effetti collaterali gravi. Questo risultato è fondamentale per ritenere plausibile un trasferimento della sperimentazione all’uomo.
Test in vitro con tessuti umani
In aggiunta, sono stati condotti test in vitro utilizzando campioni di sangue e cervelli di pazienti deceduti affetti da alzheimer. Questi esperimenti hanno confermato la capacità del vaccino di riconoscere le proteine tau fosforilate. Anche se questi passaggi restano preliminari, il livello di congruenza tra i modelli animali e i test umani preclinici è un elemento di interesse per la comunità scientifica.
Prossimi passi: la sperimentazione umana e le sfide da affrontare
L’ultimo traguardo a cui puntano i ricercatori è l’avvio della sperimentazione clinica sull’essere umano. Prima di tutto, la Fase 1 prevede il coinvolgimento di pazienti in un contesto controllato per valutare sicurezza e dosaggi. Il team del New Mexico ha già avviato trattative per raccogliere i fondi necessari, stimati intorno ai 2 milioni di dollari.
Se questa fase andrà a buon fine, si potrà passare alla Fase 2 e 3, durante le quali verrà verificata l’efficacia su un campione più ampio di persone. Il processo di approvazione da parte della Food and Drug Administration potrebbe richiedere fino a cinque anni, ma è il tempo necessario per garantire un trattamento valido e sicuro.
Non mancano ostacoli: i test su malattie neurodegenerative spesso richiedono tempi lunghi per risultati certi e un’approvazione complessa. La ricerca dovrà dimostrare che non solo il vaccino riesce a rallentare il decadimento cognitivo, ma anche che non crea nuovi problemi immunitari. Nel frattempo, il lavoro prosegue e si attendono sviluppi per capire se questa nuova strategia possa offrire una svolta reale nella battaglia contro l’alzheimer.