Trump e la nuova strategia Usa in medio oriente fra accordi commerciali e tensioni militari
Il tour di Donald Trump nel Golfo si concentra su affari e vendite di armi, mentre la situazione in Medio Oriente rimane instabile con scontri tra Israele, Hamas e Houthi.

L'articolo analizza le dinamiche geopolitiche del Medio Oriente, evidenziando il ruolo economico-militare degli Stati Uniti sotto Trump, le tensioni tra Israele, Hamas e Houthi, e il crescente peso strategico dell'Arabia Saudita nella regione. - Unita.tv
Lo scenario del medio oriente continua a cambiare sotto la pressione delle mosse diplomatiche e militari degli Stati Uniti. Il recente giro di Donald Trump tra i paesi del Golfo ha confermato una linea improntata principalmente ai rapporti economici e alle vendite di armi, più che a un progetto politico duraturo per la stabilità regionale. Contemporaneamente, gli scontri tra Israele e gruppi come Hamas e gli Houthi yemeniti non accennano a placarsi, esponendo ancor più le fragilità di questa complessa area geopolitica.
I raid Usa sugli houthi e la fine degli attacchi secondo trump
Dopo settimane di bombe sui campi dei ribelli Houthi in Yemen, Donald Trump ha annunciato la fine delle operazioni dell’aeronautica americana contro quei gruppi. L’intesa riguarda la promessa degli Houthi di non colpire navi americane o dirette a porti sotto controllo Usa nel mar Rosso. Questo patto, a metà tra un accordo commerciale e un cessate il fuoco selettivo, non contempla però la protezione delle imbarcazioni di altri paesi occidentali né tantomeno quella di Israele, considerato il principale nemico dai ribelli sciiti.
L’accorso pare più un tentativo Usa di tutelare i propri interessi economici e militari nell’area piuttosto che una vera strategia di pace. Le postazioni degli Houthi, armati dall’Iran, restano infatti una minaccia attiva per la navigazione internazionale, specialmente per quelle imbarcazioni legate a Israele o ai suoi alleati.
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Visite nei paesi del golfo, affari e scommesse sul ruolo commerciale di trump
Il tour di Trump in Emirates, Arabia Saudita e Qatar si è concentrato su affari e rapporti finanziari. In questi monarchie, che detengono una quota elevata del debito pubblico Usa, sono stati siglati contratti per centinaia di miliardi riguardo armi, aerei e intelligenza artificiale. Più che discutere alleanze politiche profonde o iniziative di pace durature, il viaggio ha avuto il tono di un giro di affari.
I negoziati con l’Iran, in particolare sul nucleare, e lo stop alle restrizioni sulla Siria, sono stati accolti con scetticismo da chi sperava in un cambio di rotta Usa verso il mondo sciita. Per Trump la priorità sembra essere soprattutto quella di preservare rapporti economici vantaggiosi senza particolari aperture a compromessi politici.
Israele, gaza e il vuoto del dialogo sul cessate il fuoco
Mentre Trump parlava davanti ai militari Usa nella base di Al-Udeid in Qatar, la situazione a Gaza degenerava: decine di vittime palestinesi negli ultimi giorni e nessuna svolta nei negoziati per una tregua. Il premier israeliano Netanyahu ha dato il via a una pesante offensiva chiamata “i carri di Gedeone”, senza attendere la conclusione della visita Usa nella regione.
Gli sforzi diplomatici per liberare ostaggi o raggiungere un cessate il fuoco a Doha restano fermi. Hamas non ha ceduto alle pressioni militari, nemmeno dopo tentativi mirati contro leader chiave come Mohammed Sinwar. Le condizioni umanitarie nella Striscia sono drammatiche a causa del blocco che impedisce l’ingresso di aiuti dal 2 marzo. L’IDF segnala una situazione di grave fame e sofferenza per la popolazione palestinese.
Il peso strategico dell’Arabia Saudita e la marginalità di israele nel nuovo asset Usa
Secondo osservatori come gli analisti israeliani di Haaretz, il nuovo ruolo di guida in medio oriente sembra affidato all’Arabia Saudita piuttosto che a Israele. La Turchia è considerata un partner chiave nel nuovo assetto strategico voluto dagli Stati Uniti. Israele appare così meno centrale nelle manovre geopolitiche di Washington che scelgono di puntare su alleanze diverse, in linea con la prospettiva trumpiana di rapporti basati su interessi economici e geopolitici diretti.
Questo spostamento riflette un cambiamento rispetto al passato, quando Tel Aviv era il fulcro della politica Usa in medioriente. Ora si assiste a uno scenario in cui i rapporti commerciali e finanziari con i regni del Golfo pesano sempre di più.
Le azioni militari israeliane contro gli houthi e le sfide di lungo termine
Israele da giorni colpisce obiettivi militari negli scali portuali yemeniti di Hodeidah e Al-Salif, punti di ingresso per supposte spedizioni di armi iraniane agli Houthi. I raid condotti da una quindicina di aerei mirano sia a bloccare gli approvvigionamenti che a indebolire i leader della milizia sciita, primo fra tutti Abdul Malik al-Houthi. L’assassinio mirato di comandanti ha però sempre prodotto l’effetto contrario: ogni scomparsa crea nuovi capi pronti a sostituirli.
La strategia israeliana sembra inseguire un equilibrio tra assedio militare e tentativi di annientamento dei vertici nemici. Il blocco navale e il bombardamento delle basi yemenite sono intensificati ma la regione rimane un focolaio aperto, difficile da domare. La guerra prolungata alimenta nuove tensioni e una spirale di violenze che coinvolge direttamente le milizie appoggiate da Iran e Israele, consolidando così il ruolo di mediatore imposto a Washington, ma con risultati ancora lontani dalla stabilità.