La maternità in Italia si conferma un percorso molto critico per molte donne, soprattutto per il trattamento ricevuto in ospedale durante il parto. Un’indagine condotta dalle università di Bologna, Padova e Bicocca ha portato alla luce dati inquietanti sulla violenza ostetrica, una realtà ancora molto diffusa. Questo studio fa parte del progetto ‘Forties’, sostenuto dal PNRR, che si concentra sull’esperienza di maternità in età avanzata. I risultati raccolti, benché il progetto sia ancora in corso, mostrano quanto il parto possa trasformarsi in un’esperienza traumatica per quasi la metà delle donne intervistate.
Analisi del campione e dati preliminari sul vissuto del parto
La ricerca si è basata sulle risposte di circa 5mila donne, tutte con un’età compresa tra 25 e 45 anni e già madri. Le interviste hanno indagato il modo in cui queste donne hanno vissuto il momento del parto, un evento che dovrebbe essere celebrato come felice ma che per molte si è rivelato fonte di sofferenza e disagio. Il 43% delle intervistate ha descritto il parto come un’esperienza traumatica. Questo dato emerge soprattutto in relazione all’atmosfera negativa creata da personale medico e sanitario, che non sempre si è mostrato empatico o rispettoso. Sono state riportate violenze di tipo verbale e fisico, con insulti e trattamenti duri, a volte umilianti, da parte di chi doveva sostenere e aiutare le donne in un momento così delicato.
Il disagio psicologico legato a queste esperienze lascia un segno profondo e in alcuni casi può influire sulla relazione madre-figlio o sulla fiducia nel sistema sanitario. Lo studio evidenzia come il contesto ospedaliero e le dinamiche di gestione del parto abbiano ancora grandi margini di miglioramento per garantire rispetto e tutela dei diritti delle madri.
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Differenze di trattamento tra parto naturale e cesareo
Entrando nel dettaglio delle diverse esperienze, la ricerca mette in luce come le forme di violenza ostetrica varino in base alla modalità di nascita. Per le donne che hanno affrontato un cesareo, la lamentela principale riguarda il divieto di ingresso in sala parto di un familiare o una persona di fiducia. Questo impedimento aumenta il senso di isolamento e paura, peggiorando il quadro già delicato del travaglio e dell’intervento chirurgico.
Per le partorienti che hanno avuto un parto naturale, le critiche maggiori riguardano procedure mediche invasive e spesso dolorose, come l’episiotomia senza anestesia adeguata e la rottura artificiale delle membrane. Spesso viene negato l’accesso ai farmaci antidolorifici, costringendo le donne a sopportare condizioni di sofferenza eccessiva. Questi aspetti sottolineano la mancanza di ascolto e di rispetto della soglia del dolore, oltre al rigido atteggiamento medico che si concentra più sulla tecnica che sul benessere della madre.
Le differenze nelle pratiche ospedaliere rivelano un problema culturale ormai radicato: la priorità sembra rivolgersi alle procedure più che al coinvolgimento e al conforto delle donne durante il parto.
Difficoltà e violenze riscontrate dopo il parto e durante l’allattamento
Le criticità non si esauriscono al momento della nascita. Le neomamme segnalano numerosi problemi anche nella fase successiva, soprattutto nel ricevere un supporto adeguato per l’allattamento. Molte raccontano di mancanza di istruzioni chiare e di un aiuto scarso, con operatori sanitari che spesso minimizzano o addirittura negano le difficoltà incontrate.
A questo si aggiungono offese e frasi offensive, come “non sei capace di spingere” o “smettila di lamentarti”, rivolte sia in sala parto che durante il recupero post-parto. Questi comportamenti confermano un clima poco rispettoso delle fragilità di quel periodo e contribuiscono a incrementare lo stress e la sensazione di solitudine delle giovani madri.
La mancanza di empatia e di supporto nei primi giorni di vita del bambino può influire negativamente sulla salute mentale delle madri e sulla qualità del legame con i propri figli. Questi dati segnalano un’urgenza di rivedere le pratiche di assistenza post-parto, garantendo un ambiente più accogliente e attento ai bisogni reali delle donne.
L’interpretazione del fenomeno secondo il progetto forties e la visione delle madri in travaglio
Il coordinamento del progetto ‘Forties’ è affidato ad Alessandra Minello, ricercatrice dell’università di Padova. Secondo la sua interpretazione, dietro la diffusa violenza ostetrica c’è in parte la convinzione medica che le donne in travaglio non siano in grado di prendere decisioni autonome. Le richieste che divergono dalle pratiche standard vengono spesso bollate come irrazionali o irresponsabili, alimentando una dinamica di controllo sul corpo delle madri.
Questa prospettiva sostiene una visione della donna come un soggetto passivo da osservare e gestire, anziché come protagonista attiva del proprio parto. Il messaggio implicito è che l’intervento medico debba prevalere per tutelare il feto, ma si perde di vista il diritto e la dignità della madre.
Il riconoscimento di questo squilibrio è un passo fondamentale per cambiare le pratiche ostetriche in Italia. Lo studio ‘Forties’ mette in evidenza questa realtà e contribuisce ad aprire un dibattito sulle modalità di assistenza in sala parto e sulle condizioni in cui avviene questo passaggio cruciale della vita di molte donne.