Sentenza cassazione accerta lesione dignità lavoratore rimasto negato al bagno da stellantis nel 2017
La Corte di cassazione conferma la responsabilità di Stellantis per il trattamento umiliante subito da un ex dipendente, riaffermando l’importanza della dignità e dei diritti sul lavoro.

La Corte di cassazione conferma la condanna di Stellantis per aver violato la dignità di un dipendente negandogli il permesso di andare in bagno, ribadendo l'importanza della tutela dei diritti sul lavoro. - Unita.tv
Una lunga vicenda giudiziaria iniziata nel 2017 si conclude con la conferma definitiva da parte della Corte di cassazione sul caso di un ex dipendente stellantis, costretto a subire un trattamento umiliante. L’episodio aveva sollevato un intenso dibattito sul rispetto dei diritti sul luogo di lavoro e sulla tutela della dignità personale. La sentenza infine ha ribadito la responsabilità dell’azienda nella gestione dei rapporti con i dipendenti.
I fatti alla base della controversia: il rifiuto di poter andare in bagno
Tutto ha avuto origine nell’anno 2017, nello stabilimento allora operato da Sevel-FCA, oggi parte del gruppo Stellantis. Un lavoratore, di cui la cassazione ha tutelato l’anonimato, aveva chiesto al proprio superiore il permesso per un breve intervallo al bagno durante l’orario di lavoro. La richiesta essenziale è stata però respinta in modo categorico. Il dipendente non ha potuto trattenersi e si è trovato nella condizione umiliante di bagnarsi addosso.
Lo stesso dirigente non ha peraltro concesso neppure la possibilità di un momento per cambiarsi o rimediare alla situazione. Un modello di gestione considerato dai giudici come lesivo della dignità personale e del rispetto minimo dovuto in ambiente professionale. Il caso è emerso pubblicamente solo dopo qualche tempo, grazie al coraggio del lavoratore e all’intervento del sindacato USB.
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Iter giudiziario e conferma della condanna a stellantis
L’intera vicenda ha attraversato tutti i livelli della giustizia italiana. Già in primo grado il tribunale aveva dato ragione al lavoratore, riconoscendo il comportamento dell’azienda come una violazione grave dei diritti personali. Di fronte al ricorso di Stellantis, la sentenza è stata confermata anche in appello, segnando un punto fermo nella tutela del dipendente.
Il 2025 ha visto la conclusione definitiva con la pronuncia della Corte di cassazione. Per la terza volta, i giudici hanno sostenuto che l’azienda avesse agito in modo da ledere la dignità del dipendente, evidenziando una violazione dell’articolo 2087 del codice civile. Questo articolo impone al datore di lavoro di adottare ogni misura necessaria a tutelare l’integrità fisica e morale dell’impiegato durante il lavoro.
Reazioni e vicenda parallela sulla presunta diffamazione
Nonostante la sentenza finale sulla tutela del lavoratore, parallela era stata la querelle legale causata dalla denuncia per diffamazione aggravata che Stellantis aveva presentato contro il dipendente e il sindacalista Fabio Cocco. L’accusa mirava a reprimere le dichiarazioni pubblicate dall’ex dipendente e dal rappresentante USB che avevano dato visibilità al fatto.
Il tribunale di Lanciano aveva però archiviato rapidamente la denuncia, ritenendo infondate le accuse rivolte contro i due. La decisione è rimasta ferma e in linea con la libertà di espressione e diritto di critica nei confronti di comportamenti aziendali contestati.
Soddisfazione del sindacato usb
Oggi, all’indomani della sentenza della cassazione, il sindacato USB ha espresso la propria soddisfazione. L’esito assume un valore simbolico per la tutela dei lavoratori costretti a subire situazioni simili e come monito per i datori di lavoro a evitare comportamenti umilianti o punitivi verso i dipendenti.